Archivio Br e scomparsa di Remo De Angelis, il Reatino ricorda il terrorismo

20/09/2020
I carabinieri e i forestali del conflitto a fuoco
I carabinieri e i forestali del conflitto a fuoco
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Due episodi, avvenuti a distanza di pochi giorni uno dall’altro, hanno fatto riemergere momenti della storia reatina legati agli anni in cui la Sabina fu teatro di eventi terroristici. Il primo riguarda la sparatoria avvenuta il 30 maggio 1974 a Pian di Rascino, nel Cicolano, tra un commando di estremisti di destra del Movimento Armato Rivoluzionario e alcuni carabinieri e forestali, costato la vita al terrorista Giancarlo Esposti e il ferimento di due militari dell’Arma, il secondo riferito alla scoperta di un archivio delle Brigate Rosse interrato nei boschi che circondano Poggio Catino, risalente al 1977.

Il conflitto a fuoco

A riportare alla mente il conflitto a fuoco è stata la morte, avvenuta a Contigliano dove viveva con la moglie Rosella, di Remo De Angelis, un brigadiere della Forestale che comandava la stazione di Fiamignano, componente insieme al collega guardia scelta Ettore Della Villa e a cinque carabinieri della pattuglia incaricata di identificare alcuni giovani accampati con una tenda sistemata a Cornino, località dell’altopiano di Rascino, scambiati inizialmente per pescatori di frodo sulla base di una segnalazione girata al militare da un pastore della zona. Da quella confidenza nacque l’operazione che portò a individuare il campo paramilitare e a sventare, di conseguenza, gli attentati dinamitardi che il gruppetto stava preparando in vista della festa della Repubblica in programma a Roma il 2 giugno. Il terzetto era giunto in zona con una Land Rover e una motocicletta dalla Lombardia, solo due giorni prima c’era stata l’esplosione della bomba che aveva provocato otto vittime nella strage di piazza della Loggia. Giancarlo Esposti, fu anche sospettato – e poi scagionato – di essere coinvolto in quell’attentato per la sua somiglianza a un identikit, ma, ugualmente, De Angelis fu chiamato più volte a testimoniare in Corte d’Assise.

 Dopo la sparatoria, furono rinvenute armi, munizioni e una notevole quantità di esplosivo. Fu, quello di Rascino, il primo evento terroristico avvenuto nel Reatino. Il brigadiere  comandava la stazione di Fiamignano e alcuni pastori gli avevano detto di aver sentito delle esplosioni provenienti dall’area intorno al lago di Rascino. “Ipotizzammo la presenza di pescatori di frodo – racconta -, così avvertì il comandante della compagnia carabinieri di Cittaducale Della Gala e organizzammo un controllo all’alba. In sette circondammo la tenda, i terroristi uscirono uno dopo l’altro, ma l’ultimo estrasse dal giubbotto un revolver e iniziò a sparare, ferendo i carabinieri Alessandro Iagnemma e Giacomo Mancini. Furono momenti drammatici, rispondemmo al fuoco ed Esposti fu colpito da un maresciallo”.

De Angelis, promosso per meriti di servizio al grado superiore di maresciallo dal ministro dell’epoca di Agricoltura e Foreste Marcora, come pure fu promosso Della Villa, ha vissuto per anni ricevendo minacce dall’Italia e dall’estero, attribuite dagli investigatori ad ambienti eversivi di destra. Sfuggì anche a un attentato che stavano preparando nei suoi confronti perché si rivelò determinante un’intercettazione raccolta dai carabinieri di Potenza, impegnati in una diversa indagine. “Sono momenti che non si possono dimenticare – ricordava -, da allora non è trascorso un solo giorno della mia vita che non ci abbia pensato, ma a Cornino vissi attimi drammatici”. Ai funerali, a rendergli l’ultimo saluto, non era presente nessuno in rappresentanza dell’ex Forestale, ma era presente un picchetto dei carabinieri guidato da un capitano del comando Gruppo di Rieti, perché una delle due figlie di Remo De Angelis, Paola, ha indossato la divisa e oggi è un maggiore dell’Arma.

L'archivio Br

A Poggio Catino, invece, con la scoperta da parte della Digos di Roma di un archivio custodito in due pozzetti, contenenti proiettili per fucili e pistole, volantini dattiloscritti riportanti in testa la tristemente famosa stella a cinque punte,  i resti di alcune divise, appunti su alcuni personaggi politici dell’epoca, è tornata alla ribalta la presenza in Sabina di gruppi eversivi di sinistra e di fiancheggiatori delle Brigate Rosse, uno dei quali fu arrestato proprio a Poggio Catino nel corso delle indagini sul sequestro Moro e il rapimento del generale americano Dozier, mentre altri vennero individuati in alcuni paesi del Reatino. La Sabina considerata rifugio sicuro e un approdo per sfuggire dai controlli serrati condotti dalle forze dell’ordine nella vicina Roma, è un particolare aspetto rivelato dalle inchieste condotte dalla procura di Rieti a cavallo tra il 1978 e il 1980, riscontrato nel corso dei processi condotti nei confronti dei brigatisti arrestati dopo lo smantellamento della colonna romana delle Br e che la scoperta di un deposito riconducibile alle Br, conferma il ruolo logistico rivestito dalla Sabina.

“Il Reatino ha rappresentato un approdo tranquillo che permetteva di non destare sospetti – racconta l’ex ispettore capo della Uigos della Questura Elenio Santoprete, lungamente impegnato in controlli antiterrorismo nell’ufficio diretto da Piero Nardin  –  La riprova arriva dallo scoperta del casale delle Ucc a Vescovio dove si svolgevano riunioni operative dei terroristi, anche se gli attentati venivano pianificati altrove. Non bisogna poi dimenticare che alcuni componenti della colonna romana delle Br erano originari della nostra provincia, anche se non risulta che si siano macchiati di omicidi”. Al covo sabino, i carabinieri del comando gruppo di Rieti e della compagnia di Poggio Mirteto, guidati dal colonnello Matteo, arrivarono proprio in seguito a una segnalazione della Uigos su un’auto sospetta. I militari scoprirono dentro due serbatoi sul tetto, mimetizzati dall’edera e da un nido di vespe, un deposito di armi utilizzate dai terroristi per gli attentati. Impressionante l’elenco: 18 pistole di varie marche, fucili, silenziatori, mitragliette, centinaia di cartucce, detonatori, esplosivi, radio per intercettare le frequenze delle forze dell’ordine, timbri falsi, carte di identità in bianco e altro ancora. Quell’operazione, coordinata dal sostituto procuratore Giovanni Canzio, culminò con 21 arresti e lo smantellamento definitivo delle Unità Combattenti Comuniste, i cui membri furono definitivamente condannati in Cassazione.