Sono finiti in un vicolo cieco e ora cercano una soluzione per dare un senso alla presenza nella Sabina Universitas che, da parte sua, continua a rinviare l’esame della delibera con la quale, nel 2015, il Consiglio dell’ordine decise di uscire dal Consorzio. Ma lasciare la Sabina Universitas è tutt’altro che facile: «E’ un discorso che riguarda i soci – chiariscono dall’ente - perché se sono d’accordo devono ridistribuirsi le quote di chi lascia, altrimenti non se ne fa nulla, a meno che non si viene espulsi.” La scelta del Consiglio fu condivisa da una successiva assemblea dalla maggioranza degli iscritti e ufficializzata attraverso la richiesta inviata al consiglio di amministrazione, ma sono trascorsi cinque anni di risposte mancate.
“Diversamente, devo constatare che non è stato così quando in passato altri soci hanno fatto marcia indietro circa la loro partecipazione, come l’ordine dei commercialisti, la Cassa di risparmio e il Credito cooperativo – attaccò nel 2018 il presidente Luca Conti parlando ai colleghi -. Segno evidente che si sta cercando di frenare l’emorragia delle uscite per limitare le perdite economiche. Contiamo, nei prossimi mesi, di risolvere la questione, anche se nel frattempo abbiamo provveduto ad accantonare le somme che non abbiamo versato”.
Parere legale
Invece, altri due anni sono trascorsi senza novità, Conti ha lasciato il posto ad Attilio Ferri, ma la Sabina Universitas ha continuato a rimanere latitante al tavolo della trattativa (il punto all’ordine del giorno dei vari consigli è sempre stato rinviato), probabilmente proprio per non aggravare il rosso di cassa (le somme dovute sono state comunque accantonate ogni anno dall’Ordine), al punto che per sbloccare l’impasse il direttivo aveva chiesto a un esperto civilista di Roma di valutare la situazione e dire, nel caso, se l’uscita dal Cda poteva avvenire in via giudiziale, vale a dire facendo causa al Consorzio. L’esito non è stato quello sperato, l’avvocato nel parere rimesso al Consiglio ha sostanzialmente sconsigliato di promuovere una causa civile perché, esaminato il regolamento che disciplina la partecipazione dei soci, non ci sarebbe margine sufficiente per affermare le proprie ragioni. “Si tratta ora di capire quale posizione dobbiamo assumere dopo che la ragione per la quale gli avvocati avevano deciso di entrare a far parte della società è venuta meno”. Alla base della decisione c’era la promessa di istituire corsi in scienze giuridiche da affiancare agli studi di giurisprudenza, impegno assunto dal Consorzio al momento dell’adesione degli avvocati, ma rimasto nel cassetto.
Accordo saltato con Roma Tre
Torna alla mente, così, l’occasione fallita per dare attuazione al piano, e la possibilità di avviare un proficuo rapporto con l’Università Roma Tre. Tutto risale a cavallo tra la fine degli anni 90 e l’inizio del secondo millennio, a svelarlo nel 2012 fu a Il Messaggero l’ex sottosegretario alla Giustizia del governo Monti, Salvatore Mazzamuto, fondatore della scuola internazionale di diritto ed economia “Tullio Ascarelli”, organica a Roma Tre – raccontò – e così decisi di promuovere un altro progetto con le istituzioni locali di Rieti che, però, non furono pronte a raccoglierlo. Avevo convinto, infatti, il rettore ad avviare un corso triennale in Giurisprudenza, con il biennio a Roma, firmando un accordo con l’università sabina. Ebbi diversi colloqui e incontro con il senatore Franco Marini, con la Fondazione Varrone e con la Provincia. Questi ultimi due enti, in particolare, furono entusiasti e, attraverso i loro vertici, promisero sostegno. Più di tutti, tra gli altri, si impegnò Guglielmo Rositani, un deputato locale che all’epoca era vice presidente della Commissione Cultura della Camera, che, però, alla fine si ritrovò da solo perché, nonostante il senato accademico di Roma Tre avesse adottato la delibera di convenzione, Fondazione e Provincia non si fecero più sentire. E’ stato un vero peccato – aggiunse il sottosegretario – a Rieti non hanno saputo prendere l’ultimo treno perché oggi i poli didattici non nascono più a causa della carenza di fondi. In quei giorni, poi, anche la facoltà di Economia si rese disponibile ad aprire un corso di Scienze Turistiche, ma ovviamente non se ne fece più nulla”.
C’è da domandarsi: fu solo miopìa oppure, più semplicemente, incapacità politica? Resta il fatto che per gli avvocati l’adesione alla Sabina Universitas avrebbe avuto la giusta motivazione, così come era stata concordata, mentre oggi, delusi, vogliono andare via.