La solitudine del magistrato che si scontra con i poteri forti quando finiscono nell’orbita delle sue indagini, ma anche la volontà di non arrendersi e di andare avanti nonostante gli ostacoli e le minacce. Una battaglia in solitaria, quella raccontata in un libro da Luigi De Magistris, l’ex magistrato napoletano che, tra il 1996 e il 2008, in veste di sostituto procuratore della repubblica fu titolare a Napoli, ma più a lungo a Catanzaro, di numerose inchieste su criminalità organizzata, 'ndrangheta in particolare, camorra, corruzione nella pubblica amministrazione e su reati di natura economica, quelli legati al riciclaggio del denaro sporco e all’esportazione di capitali all’estero. L’invito a parlarne in pubblico è arrivato da una scuola reatina, l’Itis Rosatelli, che l’ha incontrato con gli studenti delle ultime classi all’Auditorium Santa Scolastica dove De Magistris ha ripercorso la propria carriera con la toga e, dopo le dimissioni dalla magistratura, quella politica, che l’ha visto prima europarlamentare e poi per dieci anni sindaco di Napoli, la sua città.
Il percorso
Il percorso di vita e di lavoro dell’ex magistrato, oggi 56enne, per anni costretto a vivere sotto scorta per le minacce ricevute, è raccolto nel suo libro “Fuori dal sistema”, è un percorso a tappe che l’autore ha illustrato nel corso di due ore rispondendo alle molte domande degli allievi della scuola, richiamando continuamente i valori della legalità e della libertà “quelli ai quali mi sono sempre ispirato” ha detto De Magistris, invitando i ragazzi “a inseguire i sogni e non mollare mai, stando sempre insieme e a non restare isolati, perché il sistema ti colpisce quando rimani solo. Ed è quello che è successo a me nel momento in cui sono andato a toccare i poter forti e, prima ancora, a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, perché si stavano avvicinando al cuore di Cosa Nostra, svelandone i segreti, ed erano diventati scomodi. Io, in Calabria, mi sono trovato tutti contro, a partire dalla stampa, per finire ai miei colleghi magistrati che non mi hanno difeso quando il procuratore di Catanzaro mi tolse l’inchiesta “Why not” perché nel 2007 avevo indagato un suo amico avvocato, uno molto potente e agganciato agli ambienti che contano, che aveva fatto assumere il figlio del magistrato in una società amica, poi arrestato dodici anni dopo, nel 2019, per le stesse vicende delle quali mi ero occupato. L’Associazione nazionale, presieduta all’epoca da Luca Palamara, anziché tutelarmi, preferì mettere una pietra tombale sul mio caso. Non ero iscritto ad alcuna sigla sindacale, dunque non avevo protettori ed ero scomodo per aver toccato i poteri forti che in Calabria non significano solo 'ndrangheta, ma anche massoneria e infiltrazioni nelle istituzioni. Sapevo che mi avrebbero fermato quando ho condotto indagini scomode, avrei potuto chiedere il trasferimento, ma questo pensiero non ce l’ho mai avuto, sono andato avanti nella ricerca della verità. In campo hanno messo una filiera di ostacoli e ci hanno provato in tutti i modi per fermarmi, con minacce dirette, querele, esposti al Csm, interrogazioni parlamentari e ordinando ispezioni ministeriali nel mio ufficio che duravano a lungo con lo scopo di rallentare le inchieste, E anche qualche amico mi consigliò prudenza dicendomi “Ma chi te lo fa fare?”. Un muro di ostilità, che non ho invece riscontrato nella gente comune. Quando fui trasferito dopo l’avocazione del fascicolo “Why not” da parte del procuratore capo, furono raccolte 100 mila firme con una petizione in mio favore”.
Appalti e camorra
Paura di essere ucciso? “No, la 'ndrangheta spara poco a livello istituzionale, è più lungimirante e preferisce arrivare in alto con altri metodi. Se invece mi avessero sparato, avrebbero creato un martire e questo li avrebbe danneggiati”. Parla di tante vicende De Magistris, anche personali e familiari, nelle pagine del suo libro (sul comodino confessa di avere da sempre la Costituzione, alla quale si ispira, e la Bibbia, essendo credente) che spiega di aver scritto di impeto e non sa se né farà altri, e scrive soprattutto di mafia “che non sta solo al Sud, dove invece sta crescendo una consapevolezza nelle persone e molti sindaci si stanno ribellando, ma soprattutto a Roma e al nord Italia grazie alla sua capacità di infiltrarsi dentro gli apparati pubblici. Da sindaco di Napoli sono stato molto attento a vigilare sui tentativi della camorra di pilotare gli appalti, ma occorre che ognuno faccia la sua parte, con onestà e libero da condizionamenti”.