Correva l’anno 1989 e molti reatini, non più giovanissimi, ma memori delle vicende di casa, la ricordano ancora come una delle pagine più amare della storia locale: la bocciatura di Gianni Letta a socio dell’ex Banca Popolare di Rieti decretata dall’assemblea della banca che, insieme a colui destinato a diventare sottosegretario a Palazzo Chigi con Silvio Berlusconi Presidente del consiglio, disse no anche all’ingresso di un secondo nome eccellente, l’ambasciatore Vincenti Mareri.
GiustiziaRi rievoca quella pagina perché, a distanza di 32 anni, proprio quel Letta trattato come un intruso dalla Bpr, è stato determinante per congelare il piano di riduzione delle agenzie che Intesa SanPaolo, subentrata alla Cassa di Risparmio di Rieti, aveva intenzione di attuare a partire dalla prossima estate.
Chiamato in soccorso dal sindaco di Rieti, Antonio Cicchetti, dopo l’allarme lanciato da tre consiglieri comunali reatini (Giosuè Calabrese, Andrea Sebastiani e Roberto Casanica), il fidato consigliere personale di Berlusconi è intervenuto sui vertici del gruppo e ha strappato la proroga alle chiusure su Rieti: resta aperta l’agenzia di viale Maraini, mentre per quelle di Quattro Strade e Vazia la soppressione non scatterà subito. Un risultato importante per l’asfittica economia locale, ma altrettanto ascolto non ha trovato il pur bravo sindaco di Cittaducale, Leonardo Ranalli, al quale Intesa SanPaolo ha confermato la volontà di disimpegnarsi dal capoluogo angioino.
Il caso Banca Popolare
Il positivo esito della mediazione aumenta il rammarico in chi ha vissuto negli anni 90 le tribolate vicissitudini societarie della Banca Popolare di Rieti, e oggi non può fare a meno di pensare che all’epoca l’apporto di un socio del peso e dalle sterminate relazioni come Gianni Letta, legato alla città da ragioni familiari, avrebbe potuto incidere favorevolmente sul processo di trasformazione che portò alla scomparsa di un altro simbolo della storia reatina, assorbito prima da Carimonte Bologna e poi dall’Unicredit.
Letta era già entrato nella galassia Fininvest, aveva alle spalle importanti incarichi rivestiti dopo aver lasciato la direzione del quotidiano Il Tempo, vantava rapporti privilegiati all’interno dei più importanti gruppi bancari italiani, e si stava avviando a una carriera di successo. Per questo, il rifiuto del 1989 suscitò una coda infinita di polemiche negli ambienti politici ed economici cittadini. L’ex Bpr progettava di ampliare l’attività di sportello su Roma e Letta avrebbe potuto mettere a disposizione la propria rete di conoscenze. Invece, a lui e a Vincenti Mareri furono preferiti due onesti reatini, persone perbene, ma solo espressione dell’ambito locale.
Il no dell'assemblea
Il presidente della Popolare, lo scomparso Antonio Rosati Colarieti, non nascose nei giorni successivi il dispiacere per la decisione presa “di pancia” dall’assemblea orientata anche dai malumori dei sindacati interni: “La nostra banca è cresciuta, passando da 60 a 124 dipendenti, con un’età media intorno ai 36 anni, per cui si rende necessario acquisire nuovi spazi vitali per garantire la sua sopravvivenza. Abbiamo assunto alcuni esperti e a Roma avevamo già effettuato un importante azione di rastrellamento di masse fiduciarie. Letta e Vincenti Mareri costituivano perciò dei solidi punti di appoggio. Io, però, attribuirei questo comportamento a un dato caratteriale, nella nostra banca si respira un’aria familiare e, secondo me, la decisione di alzare il tiro e aprire a figure esterne ha seminato smarrimento. L’assemblea, purtroppo, non ha compreso che si voleva solo il bene della banca e ha bocciato due autorevoli candidati”.