Giovanni Falcone a Rieti, dalle notti a Santa Scolastica agli interrogatori di Antonino Calderone

22/05/2022
Il giudice e l'immagine dell'attentato
Il giudice e l'immagine dell'attentato
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Rieti e il giudice Giovanni Falcone, un rapporto che risale al 1987, ma rimasto avvolto dalla segretezza per molto tempo. Una presenza, quella del magistrato ucciso nella strage di Capaci del 23 maggio 1992, insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta, della quale erano a conoscenza solo gli apparati investigativi, gli organi giudiziari e le forze dell’ordine, perché nel capoluogo Falcone ci veniva per interrogare nel carcere di Santa Scolastica Antonino Calderone, uno dei pentiti che insieme a Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno (anche quest’ultimo detenuto, in precedenza, nell’ex casa circondariale di via Terenzio Varrone, dove erano alloggiati anche i familiari in un altro edificio interno) e Francesco Marino Mannoia consentì di alzare il velo su anni di omicidi e di istruire il maxi processo di Palermo a Cosa Nostra.

La scelta

Tutto nacque per un attentato da parte di chi lo voleva morto a tutti i costi. Era il 1987, a Palermo le inchieste condotte dal pool di magistrati che si identificava in Giovanni Falcone, non conoscevano soste. Calderone arrivò di notte nel carcere reatino di Santa Scolastica, trasferito d’urgenza da Marsiglia dopo che alcuni detenuti avevano dato fuoco al ballatoio del piano dove si trovava la sua cella.  Immediata la decisione di spostarlo dal carcere francese a quello di Rieti, assunta in poche ore durante un vertice convocato dal Servizio Centrale Operativo al quale, tra gli altri, oltre a Falcone, partecipò Enzo Di Blasio (scomparso nel 2021), un reatino che ha ricoperto incarichi di grande responsabilità dirigendo carceri importanti, il quale pur impegnato al Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria presso il ministero di Grazia e Giustizia, aveva anche la responsabilità di Santa Scolastica.

Falcone, soprattutto per motivi di sicurezza, decise di alloggiare dentro il carcere di Santa Scolastica. “La scelta del magistrato – ricordò Di Blasio - contrariamente agli altri giudici Borsellino, Curti Giardina, Natoli, De Francisci, che andavano in albergo, creò un certo imbarazzo tra il personale, non abituato a convivere con un personaggio del genere, imbarazzo che però finì presto. Il giudice era molto affabile con tutti, si radeva la barba usando il bagno del personale e, poi, chi era di turno di notte, gli preparava caffè in abbondanza prima di riprendere l’interrogatorio di Calderone”.

L’avvocato reatino

Con Falcone, condivise estenuanti giornate di attività l’avvocato Giovanni Vespaziani, scelto come difensore in quanto presidente del Consiglio dell’ordine, che definisce quella esperienza “indimenticabile sul piano umano e professionale. Gli interrogatori iniziavano la mattina e si concludevano la sera, con una sola pausa per un pranzo molto spartano. Falcone spesso veniva con il sostituto procuratore Giuseppe Ayala (“Le rivelazioni di Calderone furono decisive per individuare mandanti ed esecutori di tanti omicidi”, disse l’ex pm durante un’intervista al teatro Flavio Vespasiano nel 2013, invitato in occasione di Santa Barbara nel Mondo) e sentire raccontare da lui certe atrocità, dagli “incaprettamenti” ai cadaveri sciolti nell’acido, mi ha profondamente segnato. Non nascondo che ho vissuto quegli anni con un certo timore e soprattutto quando andavo in Sicilia per partecipare ai processi nei quali Calderone era imputato, ero scortato dalla polizia”.

La presenza del giudice nella casa circondariale, aveva galvanizzato gli agenti, come ricorda Felice Giraldi, ex comandante della polizia penitenziaria: “Amava molto la mozzarella di Rieti e, se coincideva con il giorno del suo arrivo, anche vedere la trasmissione di Renzo Arbore “Indietro tutta”. Davvero lo divertiva e lo distendeva. Per il resto, tutti i colleghi impararono presto ad apprezzarlo, vuoi per la scelta che aveva fatto di dormire in una delle nostre stanze, risistemata per l’occasione, vuoi per quella umiltà e quella gentilezza che usava nei rapporti, davvero non comune. Ricordo che quando arrivava si portava le borse da solo, e non per mancanza di fiducia verso gli agenti, semplicemente perché non amava i comportamenti troppo ossequiosi. Per il personale, l’esperienza di aver condiviso delle giornate con il giudice Falcone, ritengo che sia stata tra le più gratificanti”.

La scorta

L’arrivo del magistrato simbolo della lotta alla mafia se lo ricorda bene Elenio Santoprete, in quegli anni ispettore della Uigos, incaricato di coordinare la scorta della questura a Rieti. “Arrivò un messaggio cifrato in Questura – pesca nell’agenda personale che gelosamente conserva - con il quale venivamo avvertiti di recarci a Roma a prelevare un giudice che doveva svolgere degli interrogatori in carcere. Noi non sapevamo assolutamente di chi si trattasse, non c’erano indicazioni. Scoprimmo che si trattava di Falcone solo quando a Roma lo incontrammo. Per me e i colleghi che mi accompagnavano, fu un’emozione forte. Da allora lo abbiamo scortato spesso, negli orari più inconsueti, sia di notte che di giorno, che ci comunicava la Criminalpol di Roma, i cui uomini avevano l’incarico di accompagnare il giudice fino al casello dell’autostrada di Fiano Romano dove c’era in attesa la nostra staffetta. Una volta venne anche la moglie Francesca Morvillo”.

Rare uscite

Poche le distrazioni che Falcone si concesse durante le trasferte reatine, come le sigarette fumate ammirando il panorama dalla balconata della Loggia del Vignola, qualche cena (blindata) al ristorante, la partecipazione a un convegno sulla mafia nella vicina Umbria, un tappeto acquistato nel negozio di Tapis Volant, muovendosi sempre in orari in cui era certo di non creare imbarazzi con la scorta. L’ultimo giorno di Giovanni Falcone, a Rieti, si concluse con un pranzo alla cascata delle Marmore, dove fu prelevato dagli uomini della Criminalpol: “Sono certo che ha apprezzato la nostra città, almeno per quegli aspetti di cui ha potuto godere” fu il commosso ricordo di Di Blasio, espresso anni dopo la strage di Capaci.