La giustizia civile va riformata, viene invocato da più parti, per rendere i procedimenti più rapidi nell'interesse di chi si rivolge ai tribunali, e avvicinare l'Italia agli standard di altri paesi europei, ma i tempi continuano a essere inesorabilmente lunghi e le sentenze dei giudici spesso arrivano dopo molti anni. Le statistiche redatte periodicamente sullo stato delle cause sono impietose, come pure accade nel penale, dove alla lentezza si associano altri problemi irrisolti, come la prescrizione.
La storia
Uno dei tanti casi di malagiustizia si registra in Sabina, dove sono stati necessari ben diciotto anni per arrivare a una sentenza dei giudici, chiamati a decidere sulla divisione della proprietà di un palazzo a destinazione abitativa, costruito al confine tra i comuni di Rieti e di Cittaducale, nella frazione di Santa Rufina, un periodo di tempo al quale va sommata la data in cui ha avuto inizio la causa, risalente al 1988, originata dal contenzioso tra un noto costruttore e sua cugina. Entrambi si erano trovati d’accordo nel realizzare l’immobile sulla loro proprietà di famiglia, con l’appalto affidato all’imprenditore, ma poi erano esplose le divergenze sulle modalità di esecuzione dei lavori.
Fanno complessivamente trentatré anni, durante i quali sono state emesse quattro sentenze da organi giudiziari diversi: la prima pronunciata dal tribunale di Rieti, poi due non definitive firmate dalla Corte di Appello civile nel 2010 e nel 2014, quindi una della Cassazione, fino ad approdare nuovamente in Corte di Appello dove è proseguito il giudizio sospeso in precedenza. In questa sede, è stato dato corso all’ultima decisione della Suprema Corte procedendo all’estrazione delle quote da assegnare alle parti in lite, secondo quanto stabilito in precedenza dal consulente tecnico di ufficio nominato dai giudici.
All’inizio dell’intera vicenda la sentenza del tribunale civile di Rieti, depositata nel 1988, era risultata sfavorevole al costruttore che aveva citato in giudizio la cugina per inadempimento contrattuale – richiesta accolta dal giudice che, comunque, aveva accertato l’entità dei pagamenti effettuati dalla signora, impegnata a sua volta a chiedere la risoluzione del contratto di appalto per colpa del parente – reclamando inoltre la divisibilità del bene comune, domanda quest’ultima dichiarata inammissibile e che ha portato a dilatare ogni oltre previsione i tempi di giudizio.
Il ricorso
A ribaltare la sentenza, dopo il ricorso presentato dallo studio legale reatino Belloni per conto dell’imprenditore, era stata la Corte di Appello il 25 giugno 2003 riformando il giudizio di primo grado e dando il via libera alla ripartizione del terreno di quasi 13 ettari , su cui sorge l’enorme fabbricato di più piani, destinato a ospitare appartamenti e non ancora ultimato nelle tamponature esterne, uno scheletro in cemento armato come oggi appare. Ma, da quella decisione, erano trascorsi altri sedici anni prima che la Cassazione, nel 2019, dopo la sospensione del giudicato di secondo grado provocata da alcuni ricorsi finiti all’esame degli ermellini chiamati a decidere su questioni di diritto, si esprimesse con una sentenza, diventata poi definitiva, che rendeva il bene divisibile secondo il progetto predisposto nel 2013.
Ma non era finita, perchè è stato poi necessario attendere ancora due anni fino a quando, la scorsa settimana, la causa interrotta è finalmente ripresa davanti alla seconda sezione civile della Corte di Appello, dove i giudici hanno proceduto a dividere la proprietà immobiliare assegnando le quote ai contendenti.
Una lentezza della macchina giudiziaria esasperante e che colpisce, perché sono serviti quasi quattro lustri per definire una singola questione sorta nell’ambito di una causa più articolata (destinata a proseguire per risolvere altre questioni), dove i due cugini, poco più che trentenni all'inizio del contenzioso, oggi sono ultrasessantenni e alle soglie della pensione.