Grassi, sentenze in tempi record: "La giustizia deve dare risposte rapide"

05/01/2021
L'ex procuratore Giovanni Grassi
L'ex procuratore Giovanni Grassi
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L’avevano ribattezzato giudice “macina sentenze”, per distinguerlo, forse, da altri colleghi passati alla storia come “ammazza sentenze”, e certamente non difettava nella voglia di lavorare, visto che Giovanni Grassi a Rieti arrivò nel 1989, dopo la legge di riforma del codice Rocco, per guidare la neonata Procura della repubblica presso la Pretura, accompagnato da una fama di stakanovista del lavoro, giudizio frutto di un rapporto dell’Ispettorato generale del Ministero della Giustizia che lo collocava per efficientismo al primo posto della graduatoria. Del resto, per lui, parlavano le cifre: 33.542 giudizi emessi in sei anni, una media di 441 al mese.

Il personaggio

A Rieti, confessò in un'intervista, c’era venuto dopo essere stato ad un passo dall’essere assegnato a un’importante procura della Sicilia, per fare una nuova esperienza dopo quelle vissute prima a Pescara, come sostituto procuratore, quindi in Corte d’Assise d’Appello a Roma come presidente del collegio che condannò all’ergastolo il terrorista palestinese Abu Nidal per la strage compiuta nel 1984 all’aeroporto di Fiumicino.

Giudicò anche i brigatisti rossi Valerio Morucci e Barbara Balzarani, si occupò della banda della Magliana, pronunciando sentenze di ergastolo contro i responsabili del sequestro e l’omicidio dell’industriale del caffè Palombini nonché del sequestro di Mirta Corsetti, a Roma. Subì anche un attentato quando a Frascati gli fecero saltare in aria la macchina con l’esplosivo. Si stava occupando di slot machine e gioco d’azzardo, un’inchiesta che aveva coinvolto personaggi storici della malavita romana. Ricordava quel momento come uno dei più difficili della sua vita da giudice e le cicatrici stavano lì a testimoniarlo.

Il bancario "ladro" di betoniere

Tanto attivismo nel lavoro gli procurò, però, anche qualche “incidente” di percorso, ma che non intaccò l’impegno che metteva nel ruolo di capo dell’ufficio. Un caso, singolare, riguardò un dipendente della Cassa di Risparmio di Rieti, di Santa Rufina, il quale si vide notificare un decreto di condanna penale per essersi appropriato di una…betoniera! Figurarsi, uno che lavorava da sempre con gli strumenti della banca, che “c’azzeccava” con un mezzo utilizzato nelle attività di cantiere? L’equivoco fu chiarito presto, il bancario era stato condannato per l’omonimia del cognome al posto di un altro. Un clamoroso errore, che stava per costare all’incredulo impiegato il pagamento di tre milioni di multa. Ma ottenere la riabilitazione non fu una cosa automatica. La difesa del bancario si oppose al provvedimento, chiedendo il giudizio con il rito abbreviato davanti al pretore Stefano Venturini che assolse il bancario, imputato a sua insaputa, “per non aver commesso il fatto”.

I sostituti

I primi tempi, Grassi lavorò in procura da solo e le luci del suo ufficio in piazza Bachelet si spegnevano sempre tardi, stilava gli atti giudiziari di suo pugno, provvedendo alle relative annotazioni sui brogliacci (era ancora lontana la rivoluzione telematica), con una grafia che a volte mandava in tilt i cancellieri chiamati a decifrarla. Poi, arrivarono ad affiancarlo una giovane Maria Vulpio, tra i sostituti più tenaci ricordati in tribunale, e Bruno Iannolo, ma Grassi non perse il ritmo e continuò a sfornare provvedimenti. Da parte del procuratore c’era una totale disponibilità a ricevere e ad ascoltare chiunque volesse parlare con lui, sia che fossero colleghi oppure semplici cittadini, sempre accolto in modo per mettere l’interlocutore subito a proprio agio: “Bisogna mettersi dalla parte del cittadino che quando si rivolge alla giustizia spera di ottenerla in tempi rapidi”.

Nei sette anni di permanenza a piazza Bachelet, Giovanni Grassi e i suoi sostituti poterono contare su una squadra di polizia giudiziaria altrettanto efficiente, composta dai poliziotti Mario Cerini, Antonio Consoli, Ludovico Zuccolo, Pietro D'Orazio e Roberto Mariantoni, dai carabinieri Stefano Sforza e Luigi Levato, dal finanziere Roberto Giancristoforo e dai forestali Benedetto Giuli e Giuseppe Dante. Dopo la riforma del 1999 che riunificò le procure, il dottor Grassi lasciò la magistratura.