Non presentare un indagato come colpevole, ma garantire il suo onore, anche se arrestato o imputato, attraverso tutte le varie fasi, dalle indagini al processo, fino al giudizio definitivo che dovrà sancirne l’innocenza o la colpevolezza. Tema che sta rendendo difficile coniugare i rapporti tra il diritto di cronaca, costituzionalmente garantito, e la necessità da parte di magistrati e autorità giudiziaria di mantenere la segretezza sulle indagini, un tema impegnativo affrontato a Rieti in un convegno organizzato dalla rinnovata Scuola Forense Sabina del Consiglio dell’ordine sulla presunzione di innocenza e il diritto all’informazione. Riflessioni e interventi che hanno provato a dare un contributo su un problema complesso, affidati al presidente emerito della Corte di Cassazione Giovanni Canzio, all’avvocato Domenico Nicolas Balzano, membro della giunta nazionale delle Camere penali, e al giornalista Emilio Orlando.
Direttiva europea
Proprio Canzio, giurista e docente, chiamato dall’ex ministra Guardasigilli Marta Cartabia a presiedere uno dei tre gruppi di lavoro per l’attuazione della riforma del codice penale, ha evidenziato come “diritto di cronaca e presunzione di innocenza viaggiano su due binari distinti, ma a velocità differenti, per cui si pone il problema di come coniugarli”, questione affrontata in apertura, in maniera molto lucida, dalla procuratrice della repubblica di Rieti Lina Cusano: “Il decreto legislativo, che ha recepito una direttiva europea, ha voluto porre limiti rigorosi su una questione che coinvolge l’autorità giudiziaria, giudici, forze di polizia, ma anche gli avvocati, chiamati a rispettare il codice deontologico che tutela la riservatezza dei loro assistiti, e i giornalisti ai quali è chiesto di fare del buon giornalismo. La cronaca giudiziaria è la più difficile da seguire perché esige una maggiore delicatezza e preparazione, al cronista è richiesta l’immediatezza nel dare la notizia che fa notizia e questo si scontra, invece, con una tempistica giudiziaria che prevede tempi diversi nell’acquisire i riscontri investigativi. Quindi, è nelle cose che si crei un contrasto tra tempi e modi di comunicazione dell’autorità giudiziaria e quelli dei giornalisti”. Sulla stessa linea il presidente del tribunale Pierfrancesco de Angelis (“Noi giudici abbiamo un obbligo di trasparenza e questo deve coniugarsi con ben altre esigenze, come quella dell’informazione”), e il presidente dell’ordine forense Attilio Ferri, intervenuto a portare il saluto del foro reatino.
Il fattore tempo
Presunzione di innocenza che impedisce a procure e autorità giudiziaria di fornire notizie sulle inchieste in corso, così ha voluto nel 2016 la norma dell’Unione europea, recepita dall’Italia con il decreto legislativo 188/21 solo sei anni dopo, ma che si scontra con i processi mediatici sui quali il giudizio espresso dal presidente Canzio è stato netto: “Mi sorprende il successo che hanno tra il pubblico e perché il populismo giudiziario si rivela vincente. In questi ultimi anni, indagando sulle ragioni, ritengo che il passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo ha determinato una post modernità che ha cancellato tutta una serie di opinioni e convincimenti che va a colpire per quanto riguarda la giurisdizione un nodo cruciale che è il fattore tempo. E cioè, mentre in gran parte del secolo scorso i tempi dell’uomo comune e della giustizia non sempre camminavano allineati, nel senso che la giustizia ha bisogno di ragionare, di dialettica, di confronto, di valutare, di decidere e di motivare le decisioni, secondo progressioni fissate dalle norme, oggi la post modernità, che ha significato un salto tecnologico straordinario, ha disallineato il tempo. Oggi c’è l’ansia da parte dell’uomo comune di sapere subito, adesso, chi è il colpevole di un certo fatto, per sentirsi più sicuro, mentre i tempi della giustizia sono rimasti legati alle progressioni fissate dalle norme. Anche nel caso del terremoto la gente vuole sapere chi è il giudice che indaga perché prevale la ricerca spasmodica di trovare un responsabile che plachi la domanda di giustizia. E questo determina il ribaltamento della presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza”.
Il presidente Canzio, infine, ha riservato una stoccata a quella “minoranza dei magistrati che, rispetto alla stragrande maggioranza, rilancia le indagini attraverso la stampa. Questo alimenta la giustizia spettacolo e spinge i giornalisti a non seguire più i processi nei diversi gradi di giudizio come avveniva prima, perché si svolgono altrove, sui social e quando il legislatore si è reso conto dei guasti prodotti alla legislazione penale dai processi mediatici, è intervenuto”, trovando una sponda nell’avvocato Balzano, per il quale “l’ansia febbrile della giustizia mediatica è alimentata dal populismo”.
Il convegno, moderato dal direttore della Scuola Forense Sabina Cristian Baiocchi, e dal membro del direttivo Patrizia Schifi, ha segnato la ripartenza dell’organismo del Consiglio dell’ordine dopo un lungo periodo di fermo, complice anche la pandemia, centrando al primo appuntamento un significativo successo di partecipazione e di consenso da parte degli avvocati reatini.