Il reato di abuso d’ufficio è stato abolito per legge e, mentre sono attese migliaia di istanze di revoca delle condanne da parte degli imputati o di richieste di archiviazione da parte di indagati coinvolti in inchieste nei loro confronti per ipotesi riferite al reato cancellato, c’è chi non demorde e arriva a invocare l’intervento della Corte Costituzionale. E’ quanto si registra a Firenze, dove il tribunale ha ritenuto non manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità sollevata nel corso di un procedimento penale da parte di un legale che rappresenta la parte civile nei confronti di otto imputati, tra i quali figura un’ex magistrata umbra, rinviati a giudizio per abuso di ufficio e violazione del segreto di ufficio. La questione è stata illustrata in udienza dall’avvocato Manlio Morcella e i giudici del tribunale toscano hanno disposto l’invio degli atti alla Consulta. Il legale, in particolare, ha sostenuto la violazione degli articoli 19 della Convenzione contro la corruzione di Merida e 31 di quella di Vienna sul diritto dei trattati, in relazione agli articoli 11 e 117 della Costituzione Italiana. "Lo Stato, come l'Italia - ha sostenuto l'avvocato Morcella -, che già disponeva del reato di abuso, abrogandolo, non ha forse tradito lo spirito della Convenzione di Merida, per il quale la corruzione, in tutte le sue cangianti manifestazioni, deve essere alacremente combattuta?"
Nel frattempo, a Firenze il processo è stato sospeso e riprenderà quando la Corte Costituzionale renderà noto il suo parere, ma occorrerà tempo prima di leggere la sentenza. Nella stessa ordinanza con la quale il tribunale ha accolto la questione, i giudici hanno definito "concreta" l'ipotesi di riqualificazione del reato di corruzione in atti giudiziari in abuso d'ufficio contestato a vario titolo nel processo. Agli atti inviati a palazzo della Consulta dalle toghe di Firenze, potrebbero aggiungersi quelli di un altro caso da parte del tribunale di Reggio Emilia, nell'ambito del processo sui presunti affidi illeciti in val d'Enza, il cosiddetto “caso Bibbiano”.