Una lite senza esclusione di colpi quella che ha coinvolto il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Rieti, durata venti anni e promossa da un noto legale romano nei cui confronti il direttivo, presieduto all’epoca dei fatti da Antonio Belloni, aveva avviato un procedimento disciplinare per non aver pagato a una sua collega di Rieti le parcelle professionali che le spettavano in quanto nominata domiciliataria per la notifica degli atti relativi a una causa in corso davanti al tribunale. Onorari dovuti per aver sostituito, quando necessario, il civilista di Roma nelle udienze e compiendo atti istruttori per suo conto. Alla fine, definito il procedimento, la professionista aveva rivendicato la liquidazione delle spettanze per il lavoro svolto, ma in mancanza di risposte, si era rivolta al consiglio dell’ordine sollecitando l’intervento a tutela dei propri diritti.
La storia
L’esito, dopo i rituali tentativi di comporre la questione, era stato l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti dell’avvocato, titolare nella Capitale di un avviato studio professionale, al quale l’interessato si era opposto ritenendo la decisione “anomala e illegittima”, definendo “diffamatorio il capo di incolpazione” e giudicando l’operato del Consiglio dell’ordine reatino “arbitrario e persecutorio”, dando così il via a un contenzioso alla base del quale c’era una richiesta di risarcimento danni avanzata nei confronti dei singoli componenti del consiglio nonché dell’organo in quanto soggetto giuridico. La contrapposizione ha assunto toni sempre più accesi affrontando negli anni tutti i gradi di giudizio civile, sfociando nel penale con il procedimento per abuso di ufficio aperto dalla procura di Rieti dopo l’esposto presentato dall’avvocato, (archiviato per insussistenza dei fatti), per poi finire anche all’esame del Consiglio nazionale forense che aveva dichiarato inammissibile la ricusazione dei membri del Consiglio dell’ordine invocata dal ricorrente, come pure la stessa richiesta era stata respinta dal Consiglio dell’ordine di Roma.
Tutto era iniziato nei primi anni 2000 e adesso, a porre la parola fine alla lite, è arrivata un’ordinanza della seconda sezione civile della Cassazione (presidente Felice Manna) che ha respinto il ricorso dell’avvocato romano ritenendolo carente di fondamento giuridico e riconoscendo, di fatto, la legittimità della procedura avviata dal Consiglio dell’ordine presieduto nel 2002 dall’avvocato Antonio Belloni. Decisione confermativa di quanto già stabilito nella prima sentenza del tribunale di Roma e in quella successiva della Corte di Appello, che hanno comportato per il ricorrente il pagamento delle spese processuali (regolarmente onorate) che, con l’ultima condanna della Corte Suprema, sono lievitate e hanno superano i centomila euro, una cifra di gran lunga superiore rispetto all’importo originario delle parcelle contestate che l’avvocato romano, fermo nel sostenere che spettava al cliente onorarle e non a lui, è stato poi obbligato a pagare dopo il passaggio in giudicato dell’ennesima sentenza del tribunale che ha riconosciuto a favore della collega reatina una somma, peraltro, inferiore rispetto a quella calcolata per le prestazioni eseguite.