Ha lasciato quest'anno la magistratura Marcello Liotta, l’ultimo giudice istruttore del tribunale di Rieti, dove ha ricoperto anche le funzioni di giudice delle indagini preliminari e di presidente del collegio penale in alcuni dei più importanti processi celebrati negli anni 90 a piazza Bachelet. Approdato a Roma dopo il trasferimento dalla Sabina, ma senza dimenticare Rieti, città dove continua a tornare, a piazzale Clodio Liotta è stato Gip e presidente dell'ottava sezione penale del tribunale, firmando importanti sentenze in procedimenti di grande risonanza, tra i quali quello per i Grandi Eventi del G8 alla Maddalena, svoltosi invece nel 2009 a L’Aquila, passato alle cronache come il caso Anemone, conclusosi con quattro pesanti condanne per associazione a delinquere e l'assoluzione dell’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, imputato di corruzione. Firmate dal suo collegio sono inoltre le condanne inflitte agli imputati della Parentopoli all'Ama di Roma, quelle contro il clan Fasciani, a Ostia, quella per bancarotta fraudolenta all'editore e senatore Giuseppe Ciarrapico, poi scomparso, per l'illecita gestione dei fondi assegnati alla sua casa editrice, e la condanna per corruzione a un generale della Guardia di Finanza.
L'addio alla toga
Nel 2018, dopo il processo del G8, Liotta era diventato presidente della prima Corte di Assise di Roma, ma è rimasto in carica per poco più di un anno, perchè successivamente ha deciso di dimettersi dalla magistratura, in anticipo rispetto alla scadenza naturale imposta dall’età. Nonostante i mesi già trascorsi dalla delibera con la quale il Csm ha ratificato la decisione del magistrato, GiustiziaRi vuole ricordare il lavoro svolto dal magistrato a quella generazione di avvocati che non ha avuto l'opportunità di conoscerlo. Liotta rimane, infatti, uno dei magistrati maggiormente apprezzato dal mondo giudiziario reatino, una figura che sapeva unire il grande scrupolo nella conduzione delle inchieste più delicate, a una gestione attenta e puntuale dei processi, tra i quali si ricorda quello che, nel 1992, si concluse con la condanna per concussione dell’ex ingegnere capo della Provincia, con una sentenza confermata in Cassazione.
Giudice attento alla gestione dei rapporti esterni, si è sempre distinto per il rispettoso distacco che aveva con la città, pur restando un attento osservatore delle varie vicende che la caratterizzavano, e le scarse frequentazioni pubbliche e private, un comportamento volto a evitare che potesse essere messa in discussione la sua indipendenza. Una riservatezza con la quale hanno dovuto fare i conti anche i cronisti giudiziari, rispettati da Liotta, ma al tempo stesso tenuti a distanza di “sicurezza”. All’ufficio Istruzione era arrivato da Genova, dove aveva ricoperto le funzioni di pretore, succedendo ad Alberto Caperna, un altro dei giudici che hanno lasciato una forte impronta a Rieti, scomparso prematuramente a Roma dopo essere diventato procuratore aggiunto a piazzale Clodio.
La truffa delle pensioni
Una delle inchieste condotte dall’ufficio Istruzione che meritano di essere richiamate, fu quella sulle false pensioni assegnate ai dipendenti di partiti e sindacati, nata da un rapporto dell’Ispettorato provinciale del lavoro, diretto da Luigi Caiazza. Liotta fu lungamente impegnato in un’indagine considerata “pilota” dall’Inps, tra le prime in assoluto in Italia, che finì per coinvolgere tutti gli organismi politici locali con l’accusa di aver attestato falsi rapporti di lavoro in favore di alcuni collaboratori per consentirgli di costituire indebite posizioni assicurative presso l’istituto previdenziale,sfruttando la “legge Mosca”.
La norma era nata con lo scopo di consentire la regolarizzazione contributiva di quei lavoratori che, occupati alle dipendenze di partiti politici e organizzazioni sindacali negli anni del dopoguerra, percependo retribuzioni assai modeste, si erano venuti o si sarebbero venuti a trovare, al raggiungimento dell’età pensionabile, privi del diritto alla pensione per mancanza dei versamenti contributivi, dovuto alla particolare situazione di difficoltà economica in cui versavano le associazioni di quell’epoca. Per far ciò, la legge stabilì che il lavoro retribuito e prestato con carattere di continuità e prevalenza dall’8 settembre 1943 al 9 luglio 1974 (data di entrata in vigore della legge), poteva essere regolarizzato pagando i contributi dovuti al solo costo nominale all’epoca vigente con la sola maggiorazione degli interessi legali. Di questa agevolazione, che comportò oneri gravosissimi per l’Inps, beneficiarono in Italia oltre 41 mila soggetti sul cui diritto si espresse una commissione istituita presso il ministero del Lavoro, incaricata di formulare un parere vincolante. I processi che seguirono si conclusero per gli imputati reatini con condanne, ma anche assoluzioni e amnistie.
Nella motivazione della sentenza istruttoria, recensita su Foro Italiano, si legge che “il momento di consumazione della truffa va individuato nel momento e nel luogo di costituzione della posizione assicurativa, la quale a sua volta si perfeziona all’atto del versamento dei contributi assicurativi da parte degli organi locali o centrali dell’ente-datore di lavoro. E in questo momento che il reo consegue l’ingiusto vantaggio e l’Inps subisce un primo danno patrimoniale consistente nel dispendio dell’attività lavorativa impiegata dai suoi funzionari e dipendenti all’uopo retribuiti, nell’uso indebito dei macchinari utilizzati e nelle spese vive sostenute. Trattasi di reato istantaneo, per cui ad ogni successiva erogazione di prestazioni economiche conseguirà un nuovo danno dell’Inps e un nuovo profitto del beneficiario, cioè un nuovo reato di truffa in continuazione con i precedenti”.