Maria Vulpio e Pietro Ferrante, arrivati insieme a Rieti, ora appendono la toga con lo stesso incarico

12/11/2023
Ferrante, al centro con il procuratore Rossini, e i componenti della polizia giudiziaria
Ferrante, al centro con il procuratore Rossini, e i componenti della polizia giudiziaria
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Erano arrivati insieme, subito dopo la riforma del codice Rocco del 1989, e insieme lasciano la magistratura trentacinque anni dopo la parentesi reatina, congedandosi entrambi con lo stesso incarico di sostituto procuratore generale ricoperto in Corte di Appello, il primo a Firenze e la seconda a Milano.

Pietro Ferrante e Maria Vulpio approdarono a piazza Bachelet come pubblici ministeri in una stagione di grandi cambiamenti perché molti magistrati, con l’entrata in vigore della riforma, cambiarono funzioni all’interno del tribunale e fu necessario riorganizzare gli uffici in base alle modifiche introdotte dalle nuove procedure. Ferrante, proveniente da Torino dove aveva ricoperto il suo primo incarico di giudice, componente anche del collegio giudicante al processo per l’incendio del cinema Statuto, diventò il vice del procuratore Gaetano La Sala, dopo che Giovanni Canzio aveva lasciato la procura per il tribunale, e in seguito al suo pensionamento svolse le funzioni di supplente fino all’arrivo di Alfredo Rossini, nel 1998. Una permanenza a Rieti durata 14 anni, fino al 2003, quando la sua domanda di trasferimento venne accolta dal ministero con destinazione l’ufficio Gip del tribunale di Firenze, città dove Ferrante ha prevalentemente trascorso gli ultimi venti anni di carriera, diventando sostituto procuratore generale, mansione svolta per un breve periodo anche presso la Corte di Appello di Bologna, prima di tornare in Toscana dove a 67 anni ha rassegnato le dimissioni.

I processi

A Rieti, come sostituto procuratore, Pietro Ferrante condusse l’inchiesta sullo scandalo Teknopolimeri, una delle tangentopoli reatine degli anni 90 terminata con la prescrizione per molti imputati, si occupò quindi in stretta collaborazione con carabinieri, polizia e finanza, di diverse indagini relative all’emergente fenomeno dello spaccio di droga che all’inizio del nuovo secolo stava registrando una diffusione preoccupante. In Corte di Assise, invece, sostenne l’accusa nel processo per omicidio nei confronti di un imprenditore napoletano che aveva ucciso la segretaria, inchiesta che egli stesso aveva condotto come pubblico ministero. Poi, come giudice delle indagini preliminari, tra i vari casi esaminati ordinò il rinvio a giudizio per gli imputati coinvolti nella Tangentopoli Crea.

Maria Vulpio, la cui tenacia nel coordinare le inchieste insieme alla polizia giudiziaria era diventata proverbiale, rimase a piazza Bachelet per un arco di tempo decisamente più breve, fungendo da spalla per il procuratore della Pretura circondariale Giovanni Grassi, e avendo come collega il sostituto Bruno Iannolo, un magistrato che a Rieti coordinò nel 1994 la prima inchiesta sull’usura condotta dalla squadra Mobile. Pugliese, originaria di Altamura, la Vulpio era particolarmente apprezzata per i metodi applicati nelle indagini (per arginare il contenzioso dilagante sperimentò anche una corsia preferenziale per i casi più urgenti), caratterizzati dalla tempestività degli accertamenti per evitare lunghe e pericolose pause.

Diverse le inchieste di rilievo condotte, su tutte il sequestro ordinato, attraverso il ministero dell’Interno e le prefetture, in Italia e in Europa del “Matterhorn”, l’attrazione di un Luna Park che a Rieti, a causa del malfunzionamento, causò la morte di due giovani che erano all’interno della cabina, volati via dai seggiolini. Se ne occupò la stampa nazionale e la vicenda, oltre alla condanna dei responsabili e al risarcimento delle parti civili delle vittime, portò a un adeguamento dei sistemi di sicurezza di quella che era stata ribattezzata come “la giostra della morte”. Chiusa l’esperienza reatina, la Vulpio ha proseguito la carriera prima a Vincenza e poi a Milano, dove è stata sostituto procuratore e, successivamente, per undici anni sostituto procuratore generale, ruolo in cui si è occupata di processi su casi di femminicidio, omicidi stradali e di reati commessi nei confronti delle fasce più deboli. Ora, a 64 anni, la decisione di appendere la toga al chiodo.