Il decano degli avvocati reatini ha deciso di appendere la toga al chiodo. Giunto quasi alla soglia dei 60 anni di attività, Mario Vernile ha detto stop e, prima delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’ordine, si è cancellato dall’albo, esattamente dopo l’iscrizione avvenuta il 24 gennaio 1964 quando, laureatosi all’università La Sapienza, aveva conseguito l’abilitazione alla professione. Originario del comune aquilano di Morino, ha svolto la pratica legale ad Avezzano prima di trasferirsi a Rieti, dove si è prevalentemente occupato di procedimenti in materia tributaria e di lavoro in favore dell’Enasco, l’associazione di assistenza dei commercianti, e per un patronato della Uil, non disdegnando in qualche occasione cause penali. Il tutto abbinato all’insegnamento di Educazione Civica all’Istituto professionale per l’industria e l’artigianato “Ezio Vanoni”, a Rieti, come facevano altri suoi colleghi che alternavano l’impegno a scuola con l’attività forense. Rimasto sempre lontano di riflettori, l’avvocato Vernile viene ricordato anche dalle ultime generazioni come una persona garbata, rispettosa dei colleghi e dei magistrati, tra i quali ricorsda, in modo particolare Michele Balacco (“Era dotato di grande capacità dialettica, un piacere ascoltarlo nelle arringhe in aula”) e il pretore Ugo Paolillo, con il quale il confronto era continuo per via delle tante cause di lavoro patrocinate.
Abusi
Solo una volta, e accadde nel 1999, il nome di Vernile rimbalzò su tutte le cronache nazionali. Fu quando un militare reatino rimase vittima di alcuni episodi di “nonnismo” subiti all’interno della caserma di Forte Boccea da parte di un caporale napoletano che era giunto a mordergli l’orecchio, causandogli delle ferite che resero necessario applicare alcuni punti di sutura. Era, quello, un periodo storico in cui i riflettori erano accesi su quanto accedeva nelle caserme, con ripetuti casi di abusi e sopraffazioni nei confronti di soldati, denunciati un po’ in tutta Italia. L’avvocato fu nominato legale di parte civile dalla famiglia del giovane militare e il suo impegno si divise per anni tra procura militare e procura ordinaria, con processi approdati fino alla Cassazione dove, nel 2002, fu confermata definitivamente la condanna a quattro mesi per lesioni personali inflitta al graduato campano, che aveva scelto di essere processato con il rito abbreviato in tribunale, il quale si vide poi confermare la pena anche dalla Corte di Appello militare, accompagnata dalla condanna a pagare un forte risarcimento danni alla vittima (la provvisionale iniziale fu di dieci milioni di lire) nonché le spese processuali di tutti i gradi di giudizio.
Una chiara vittoria per l’avvocato Vernile, ma schivo nel dare pubblicità al caso, emerso solo perché la signora Maria Luciana, madre del soldato, aveva deciso di rendere pubblica tutta la storia di prepotenze e abusi subiti dal figlio. “Volevano mettere tutto a tacere. Invece è uno schifo e non è giusto che i nostri figli debbano subire certi abusi”, si sfogò, tanto da suscitare un'indagine dello Stato Maggiore dell'Esercito e l'intervento del presidente della commissione Difesa, Valdo Spini.
La Toga d'oro
Nel 2014 la giornata che Mario Vernile ricorda tra quelle più belle vissute durante la sua quasi sessantennale carriera: la consegna, in tribunale, della Toga d’oro da parte del Consiglio dell’ordine di Rieti per il mezzo secolo di attività svolta, il traguardo che ogni avvocato sogna di raggiungere a suggello del proprio lavoro.