Non si trattò solo di un omicidio causato dalla follia, ma anche di un episodio che riaccese la discussione sul difficile stato in cui versava l’ospedale psichiatrico San Francesco, del quale oggi sono rimaste le colonne all’entrata di via del Terminillo, con le polemiche politiche che ben presto presero il sopravvento sull’aspetto giudiziario. Un delitto originato da una lite scoppiata per le sigarette che un ricoverato di 65 anni accusava un compagno di camerata, di 53 anni, di rubargli e poi mangiarsele: “Ora la smetterà di farmi questi scherzi”, furono le uniche parole pronunciate da un paziente schizofrenico al procuratore della repubblica di Rieti, Gaetano La Sala, che lo interrogava nel carcere di Santa Scolastica prima del trasferimento in un’altra struttura manicomiale dove sarebbe stato sottoposto a perizia psichiatrica. Atto dovuto, il cui esito sull’incapacità mentale dell’omicida si rivelò scontato, ma la storia del “delitto delle sigarette” avvenuto a Rieti rimbalzò prepotentemente sulle cronache nazionali.
La dinamica
Il dramma si consumò nella notte tra il 21 e il 22 settembre 1986 nel terzo padiglione dell’ospedale, quello riservato agli “impropri”, che più di altri richiedevano assistenza continua. All’interno una cinquantina di ricoverati, sorvegliati da soli tre infermieri, ospitati in locali che si presentavano fatiscenti, con qualche serrandina delle finestre rotta. Delitto maturato all’ora di andare a dormire, quando approfittando del fatto che gli unici due infermieri del turno di notte stavano accudendo altri pazienti bisognosi di aiuto, l’assassino aggredì con intento punitivo il compagno dentro il bagno, stordendolo prima con un pugno e poi trascinandolo in camerata, dove lo sdraiò sul letto. Quindi, utilizzando una striscia ricavata da una fascia di costrizione, fatta passare più volte attorno alla spalliera, la strinse al collo del compagno, soffocandolo. Non un grido da parte della vittima, affetta da deficienza mentale e incapace di reagire, e quando l’omicidio fu scoperto era ormai troppo tardi. Un campanello di allarme, in verità, c’era stato poche ore prima, quando i due ricoverati avevano litigato, ma poi tutto era stato ricomposto dal personale, abituato a esplosioni di quel tipo.
Le reazioni
Scesero in campo i sindacati, accusando la Usl di non provvedere a sanare le carenze di personale: “Basta spostare gli infermieri del San Francesco per trasferirli nell’astanteria psichiatrica dell’ospedale civile” affermarono, sostenuti in questo dal capogruppo del Pci in consiglio comunale, Riccardo Bianchi, per il quale “sono note le condizioni di degrado e generale abbandono in cui versa lo psichiatrico, dove ci sono 200 degenti, molti dei quali potrebbero essere dimessi e assistiti in altre strutture se venissero create”. Polemica che vide particolarmente impegnati anche i consiglieri Paolo Tigli e Elisabetta Celestini, firmatari di un’interpellanza in cui invocarono la convocazione di un’apposita seduta del consiglio comunale per affrontare tutti i nodi legati al funzionamento della struttura.
Il precedente
Un altro omicidio, in precedenza, aveva insanguinato il San Francesco. Era accaduto nel 1960 e vittima di un ricoverato che lavorava in cucina come inserviente, fu una suora. In quel caso, a far scattare la molla nella mente già malata dell’uomo fu la minaccia rivolta dalla religiosa di non chiamarlo più se non si fosse comportato bene. La reazione fu violentissima, l’omicida afferrò un lungo coltello e colpì, più volte, la povera suora che morì in pochi minuti dissanguata.