Sarà ricordata come la vicenda urbanistico-giudiziaria più tormentata degli ultimi tempi, sia per la lunga durata del sequestro preventivo, sia per gli effetti collaterali che ha provocato. Sigilli apposti nel 2014, quando era ancora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e polo culturale di San Giorgio che tornerà pienamente funzionante a inizio 2021 - (il dissequestro è stato ordinato dalla Corte di Appello e gli avvocati devono verificare se la riconsegna della biblioteca e delle aule di inglese avverrà a sentenza diventata irrevocabile, oppure se il provvedimento cautelare ordinato dai giudici potrà essere eseguito subito) - quando mancherà solo un anno alla scadenza del settennato del successore Sergio Mattarella (febbraio 2022).
Il processo
Il processo, nato per gli abusi edilizi contestati dalla procura a un gruppetto di imputati chiamati in causa, a vario titolo, per la realizzazione del polo culturale delle Officine Varrone, è uno strascico destinato a prolungarsi nel tempo e la cancellazione dei reati urbanistici decisa dalla Corte di Appello, in riforma della sentenza di condanna parziale emessa dal tribunale di Rieti nel 2018, dichiarati estinti grazie alla sanatoria pagata dalla Fondazione (154 mila euro versati al Comune per il cambio di destinazione d’uso degli immobili, oltre a 15 mila euro per le autorizzazioni di Soprintendenza e Genio Civile), non cancella il duro scontro su un tema urbanistico che ha partorito due decisioni opposte da parte della magistratura e coloro che l’intervento in piazza San Giorgio l’avevano progettato, in particolare l’ingegnere Andrea Cecilia, uscito assolto. La sentenza romana che ha cancellato con un colpo di spugna il giudizio di Rieti andrà letta quando, entro l’anno, saranno depositate le motivazioni, e allora si capirà come si è giunti al ribaltamento di interpretazioni che non annovera molti precedenti in questo genere di casi affrontati dal tribunale di Rieti. Del resto, gli addetti ai lavori sanno che i processi urbanistici sono tra i più difficili da trattare rappresentando la materia un terreno minato, un groviglio di norme, cavilli, commi, leggi e modifiche tra cui spesso è complicato orientarsi se non si dispone di una conoscenza specifica.
Restauro, e non ristrutturazione, questo è stato l’intervento che ha riguardato gli immobili sequestrati del polo culturale, hanno concluso i giudici della seconda sezione di Appello, accogliendo la tesi sostenuta dagli avvocati della Fondazione Varrone e dell’ex presidente (assolto) Innocenzo de Sanctis, ripetutamente proposta, senza risultato, nelle diverse istanze presentate contro il sequestro. A Vincenzo Martorana, affiancato da un giovane e valido collega di studio, Matteo Pifani, a Rieti viene riconosciuta una grande preparazione nella conduzione di processi a contenuto urbanistico, è stato legale di costruttori e liberi professionisti, spesso è anche fonte di consultazione per altri avvocati. Hanno trovato accoglimento nel caso delle Officine Varrone le sue argomentazioni, che hanno viaggiato in parallelo con quelle dell’ingegner Cecilia.
Progettista sotto accusa
Cecilia ha un pò incarnato l'essenza stessa del processo, figura attorno alla quale si è scatenata la politica di schieramento opposto (ma anche parte di quella amica non ha mancato di infierire), al punto da spingerlo a dare le dimissioni da assessore all’Urbanistica quando a guidare la giunta comunale era Simone Petrangeli. “Aver avuto ragione, dopo tanti anni, lascia una profonda amarezza. Avrei voluto condividere con il mio caro amico Elio Pietrolucci questa giornata: abbiamo lavorato insieme, con passione, per realizzare un’opera a servizio di tutti i cittadini, uno spazio che sarebbe dovuto diventare un volano economico e culturale; un polo d’eccellenza che la Fondazione Varrone di Innocenzo de Sanctis aveva voluto donare alla città” è stato il commento a caldo dell’ingegnere dopo la sentenza di assoluzione, non tralasciando di criticare il trionfalismo del vertice della Fondazione che ha dimenticato i meriti del predecessore. Ma, si sa, l'ultimo che arriva taglia il nastro e in via dei Crispolti più di qualcuno è ormai specializzato in questo genere di inaugurazioni.
L'ingegnere non si è sottratto all’esame delle parti (giudici e avvocati), difendendosi nel processo, e in aula non è arretrato di fronte alle contestazioni. “Si è trattato di un restauro e non di una ristruttche urazione – ha sostenuto -, dunque non era necessario presentare un piano di recupero. A largo San Giorgio è stata realizzata un’operazione urbanistica nel pieno rispetto delle norme e della riqualificazione urbana, ma questo processo non l’ha pienamente recepita, e lo stesso consulente della procura non ha visionato tutti gli atti che confermano quanto affermo” . Poi, una volta fuori dall’aula, aveva aggiunto sibillino: “E’ una vicenda nata in sede politica, che ha inciso sul corso urbanistico di Rieti”.
A seguire, lo sfogo più profondo: “Mi hanno rubato la serenità e hanno devastato la mia famiglia e i miei cari per anni, con due vicende campate completamente in aria”. Il riferimento, nel secondo caso, è a un altro processo ugualmente finito, come quello delle Officine, nel tritacarne della politica: la permuta stipulata con la Provincia per acquistare dei locali dell’ex caserma dei carabinieri, in via Cintia, altrimenti destinati a una sorte diversa, cedendo in cambio i propri per ultimare la casa familiare a ridosso di palazzo Aluffi. Le accuse di falso e abuso di ufficio che l’avevano trascinato in tribunale, insieme a un dirigente della Provincia, quella volta non avevano superato il vaglio del primo processo ed era arrivata l’assoluzione, che la procura aveva rinunciato ad appellare. Due vicende, stesso attore, un finale unico: l’uscita dalla politica di Cecilia che, difficilmente, sembra tentato nuovamente dall’avventura.