E’ stato l’ultimo “castellano” e testimone di un’epoca ormai scomparsa, geloso custode di un maniero che, a distanza di secoli, rimane tra le più suggestive e affascinanti fortezze medioevali presenti nel Reatino, dove hanno soggiornato personalità del mondo politico e artistico. Solo per fermarsi al periodo antecedente la seconda guerra mondiale, nel castello baronale di Collalto Sabino furono ospitati, fra gli altri, il principe Umberto di Savoia, il trasvolatore del Polo Nord generale Umberto Nobile, l’attore e compositore Ettore Petrolini, il pittore danese Andersen e tantissimi altri. Nei secoli precedenti, non mancarono di soggiornarci condottieri, nobili, ma anche briganti alla guida di bande che, non di rado, erano protagoniste di assalti alla struttura dove compivano razzie e omicidi.
Piero Giorgi Monfort, figlio di un capitano dei carabinieri protagonista di concorsi ippici, e di una ricca ereditiera americana, morì in solitudine nel dicembre 1987, all’interno di quel castello che la sua famiglia aveva acquistato nel 1932, che tanto si era sforzato di mantenere in vita per salvarlo dalla decadenza, organizzando negli splendidi giardini interni feste e spettacoli in occasione dei suoi compleanni nella speranza che fungessero da richiamo per turisti e visitatori. Lui si trasformava in guida, illustrando agli ospiti le vicende e i segreti della costruzione, compreso quello del tunnel che dall’interno, attraverso un percorso sotterraneo di alcuni chilometri, era in grado di portare i suoi abitanti lontano dal paese in caso di attacchi nemici.
L’ultima festa
Per richiamare i turisti e far conoscere le bellezze del maniero - oggi diventato la sede di un relais di lusso, con la possibilità di ingresso per le visite -, non potendo contare su contributi e aiuti pubblici, Giorgi Monfort arrivò a organizzare cene con il “fantasma”, un convitato immaginario, alle quali parteciparono migliaia di persone provenienti da tutto il Lazio e anche da regioni limitrofe, gustando penne condite con i sughi più diversi e porchetta, il tutto accompagnato da buon vino. Manco a dirlo, a pagare era sempre Piero nella speranza che l’iniziativa venisse poi ripagata nel corso dell’anno attraverso visite turistiche guidate e l’allestimento di spettacoli da parte di compagnie interessate ad prendere in affitto i suggestivi spazi interni. Non andò, purtroppo, esattamente così. Al termine dell’ultima festa, che precedette la sua morte, i curatissimi viali interni furono ridotti a una gigantesca pattumiera, con cartacce, bicchieri e posate di plastica, lattine e avanzi di cibo, abbandonati tra le aiuole, a dispetto dei contenitori per i rifiuti fatti sistemare dal proprietario e rimasti semi vuoti. All’alba, dopo una notte trascorsa in musica e conclusa dai fuochi di artificio, l’interno della fortezza apparì come una discarica a cielo aperto, ma ugualmente Giorgi Monfort non drammatizzò: “Voglio che la gente si diverta e vada in giro a pubblicizzare il castello” fu la sua risposta a chi gli chiedeva se ne fosse valsa la pena. In cantiere aveva già altre iniziative, ma non fece in tempo a realizzarle.
Quella di Giorgi Monfort è una di quelle storie che sfuggono alla memoria collettiva, ma che invece meritano di essere ricordate, non fosse altro perché di questo genere di figure si è persa ogni traccia.