Reatino si suicidò nel carcere psichiatrico, allarmi ignorati e il caso finisce davanti alla Corte Europea

25/01/2025
L'interno di Castiglione delle Stiviere
L'interno di Castiglione delle Stiviere
Printer Friendly, PDF & Email

La storia è quella di G., un giovane reatino che nel 2008 si tolse la vita annodando le lenzuola alle sbarre della finestra di una cella dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dove era stato trasferito da Rieti in quanto la sua condizione appariva incompatibile con il regime carcerario. Un suicidio annunciato, i cui i segnali premonitori erano stati evidenziati dagli allarmi lanciati dai diversi consulenti chiamati a occuparsi del caso, ma senza che venisse adottata alcuna misura per cercare di prevenire il gesto che, poi, il giovane mise in atto.

Il ricorso

Questo caso è finito adesso davanti alla Corte Europea per i diritti dell’uomo per iniziativa di un avvocato reatino, che esercita da anni nel foro di Parigi, Federico Euforbio, il quale nel ricorso con cui chiede il giusto risarcimento per la famiglia di G., mette sotto accusa l’inerzia e le responsabilità dello Stato italiano che non è stato in grado di scongiurare il suicidio del giovane, nonostante gli allarmi e le relazioni dei medici psichiatri che non lasciavano spazio a interpretazioni diverse. L’avvocato Euforbio ha ricevuto il 20 gennaio da Strasburgo la comunicazione della cancelleria in cui viene fornita assicurazione che “il caso sarà esaminato prima possibile” e questo rappresenta un momento importante per il legale, che commenta: “E’ un passaggio particolarmente significativo anche rispetto ai dati statistici forniti dalla stessa Cedu per il 2023, secondo cui il 67 per cento dei ricorsi introdotti viene dichiarato inammissibile, e questo ci fa sperare che le nostre richieste troveranno giudici attenti a valutare in maniera più approfondita l’intera vicenda”.

Le cause

Una vicenda, quella di G., figlia dell’uso della droga e della schiavitù che genera in chi non riesce a uscire dal tunnel della tossicodipendenza, che aveva generato comportamenti tipici dei soggetti in crisi di astinenza, sfociati in episodi di aggressioni, anche nei confronti di alcuni familiari. Così, dopo una denuncia, era stato arrestato per le violenze, ma poi le sue condizioni avevano imposto il trasferimento nell’ex ospedale psichiatrico in provincia di Mantova, poi chiuso dopo la creazione delle Rems. La perizia del professor Enrico Mei, esperto nominato dalla famiglia, aveva evidenziato il rischio concreto di suicidio da parte del giovane ed elencato una serie di aspetti allarmanti della sua personalità, non ultimo richiamando alcuni episodi di autolesionismo e frasi che lasciavano poco spazio a interpretazioni diverse. Ma nessuno, ad avviso della difesa, dispose una sorveglianza più attenta per quel giovane e nel 2008 G. si tolse la vita. Una morte annunciata, mai accettata dai familiari, che contro il ministero della Giustizia avviarono nel 2011 una causa civile chiedendo il risarcimento come danno provocato dal comportamento omissivo dello Stato. Tre gradi di giudizio, fino alla Cassazione, tutti terminati con il rigetto della richiesta nonostante un’altra perizia, questa volta ordinata dai giudici e affidata al professor Fabrizio Iecher, un esperto della psichiatria, fosse arrivata alle stesse conclusioni allarmanti di quella del professor Mei. Ma non ha fermato la battaglia della famiglia di G. ed è approdata davanti alla Corte europea, segnando un primo risultato a favore: il ricorso contro l’Italia ha superato il vaglio dell’ammissibilità e sarà esaminato dalla Corte giudicante.