E’ passata alla storia sindacale come la causa del “settimo giorno” e il tribunale di Rieti rappresentò il laboratorio per una vertenza di lavoro senza precedenti in Italia, sottoposta anche al vaglio della Corte Costituzionale, prima di concludersi in Cassazione. A promuoverla furono 500 dipendenti della Snia Viscosa di viale Maraini, e la ragione andava ricercata nel fatto che, pur lavorando sei giorni a settimana, non riuscivano a fruire di una intera giornata solare di riposo prevista dal contratto. Cosa accadeva nello stabilimento? Tra gli orari di fine e inizio dei turni, spesso non intercorrevano ventiquattrore consecutive di pausa, una questione di non poco conto, perché in ballo c’era l'indennità reclamata dai ricorrenti per le ore lavorate di domenica e non retribuite come straordinarie. Problema che l’azienda pensò inizialmente di risolvere intavolando una trattativa con i sindacati.
Caso nazionale
Ben presto, però, il caso assunse una rilevanza nazionale, al punto da essere sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale, chiamata a esprimersi su un’eccezione sollevata in Corte di Appello dagli avvocati del sindacato, all’epoca rappresentato da Franco Coccia, Antonio Serani e Giorgio Rossi, storici legali di Cgil e Cisl, e da Vincenzo Martorana, allievo di Rossi, insieme a giuristi di fama messi in campo sia dalla società milanese, che dalla Cgil, come il professor Luciano Ventura, protagonista di storiche battaglie in difesa dei lavoratori. La vertenza, iniziata negli anni 60, durò fino al decennio successivo. In primo grado, a Rieti, i lavoratori si videro respingere il ricorso, ma la svolta arrivò con la decisione della Consulta favorevole agli avvocati reatini dopo un'eccezione sollevata in Corte di Appello, fino all’ultimo grado di giudizio in Cassazione che accolse in via definitiva il ricorso, ordinando alla Snia di pagare le indennità straordinarie agli operai.
Alla fine del percorso giunse però un numero inferiore rispetto ai ricorrenti iniziali. L’azienda, di fronte al moltiplicarsi delle richieste, cercò di porre un freno. Bruno Bucciolotti, tra i sindacalisti più attivi della Cgil e componente del consiglio di fabbrica, ricordò come "la direzione arrivò a offrire un orologio d’oro e una pensione integrativa a coloro che non avessero partecipato alla vertenza, così qualcuno accettò la transazione ritirandosi dalla causa".
Sentenza pilota
L’avvocato Franco Coccia, eletto più volte deputato del Pci, spesso impegnato in vertenze a tutela dei diritti sindacali negli anni in cui cresceva la presenza delle industrie nel Reatino, di quell’esperienza amava ricordare che “la questione fece scuola, trovando ampio spazio su riviste specializzate e in dibattiti sindacali, perché poneva all'attenzione dei giudici il problema della salute e del tempo libero dei lavoratori che non riuscivano mai, a causa della particolare organizzazione dei turni di lavoro, a godere di un giorno pieno di riposo. Ciò condizionava la loro vita di relazione e anche quella familiare. Quella di Rieti fu una sentenza pilota, perché altri stabilimenti in Italia promossero la stessa vertenza, ottenendo il riconoscimento di un innegabile diritto».
Vincenzo Martorana, avvocato reatino di lungo corso, è stato un altro dei protagonisti di quella battaglia giudiziaria: “Erano gli anni in cui i lavoratori venivano spesso sottopagati e i contratti collettivi violati, e la riforma del lavoro tardava a far sentire i suoi effetti sulla durata dei processi, celebrati con il rito ordinario in tribunale, prima del trasferimento delle competenze al pretore che potè finalmente contare su procedure più rapide riducendo i tempi del giudizio. Quella della Snia rappresentò una questione di principio, come sovente se ne ponevano in quegli anni, ma poi finì per assumere una grande rilevanza per l’intero mondo sindacale”.
La prescrizione
Altri lavoratori, in seguito, tentarono di ottenere l’indennità riconosciuta ai colleghi, relativa agli straordinari lavorati durante il “settimo giorno” di riposo, ma non ebbero fortuna. Alla vigilia di Natale del 1989, le speranze di 115 ex dipendenti si infransero contro la prescrizione sentenziata dal pretore Ugo Paolillo, perché i termini per promuovere la causa erano ampiamente scaduti e il ricorso fu ritenuto inammissibile. Ma l’ordinanza era in un certo qual senso attesa. Infatti, prima ancora che gli ex operai Snia decidessero di avviare la causa, gli avvocati del sindacato li avevano messi in guardia dal pericolo di vedere vanificato il ricorso dalla prescrizione, essendo ormai trascorsi i dieci anni concessi dalla legge.