E’ nella primavera del 2003, a cavallo tra i mesi di aprile e maggio, che il Reatino scoprì di essere tra i territori individuati dalla criminalità organizzata per la gestione di un traffico di rifiuti pericolosi, spacciati e immessi sul mercato come fertilizzante da impiegare nelle lavorazioni agricole. Di qui la denominazione di “Agricoltura biologica” data all’inchiesta condotta dalla procura e dalla Forestale di Rieti, uno scandalo che ebbe il suo epicentro nello stabilimento della Masan di Magliano Sabina dove arrivavano i camion carichi di materiale.
L’inizio
Tutto cominciò quando una pattuglia della Forestale di Rieti fermò, per un controllo, l'autocarro di una ditta toscana del Grossetano, partito da Magliano, e che trasportava “ammendante compostato". Qualcosa apparve subito poco chiaro perchè erano già in corso indagini sull'attività della Masan, contestato stabilimento per il trattamento dei rifiuti di Magliano Sabina, al punto che nella sede di Grosseto, la Forestale eseguì un controllo e un campionamento del prodotto che rivelò la presenza dell'ammendante, proveniente proprio dall’azienda sabina e ceduto gratuitamente alla ditta toscana. Le analisi chimiche eseguite su campioni di terreno dell'azienda rivelarono che il compost conteneva in realtà materiale fangoso organico, frammisto a pezzi di legno, sacchetti di polietilene, sassi, bottiglie di plastica. A quel punto l'inchiesta decollò. Gli uomini della Forestale dell’ufficio Ambiente - istituito in tribunale dal procuratore Alfredo Rossini per rendere più incisiva l’azione a tutela del territorio - filmarono per mesi il movimento degli autocarri che giungevano nel centro di compostaggio di Magliano, dove entravano carichi di rifiuti per poi riuscire dopo qualche ora con materiale che, ufficialmente risultava trasformato in ammendante, ma in realtà non veniva sottoposto quasi mai ad alcun processo di lavorazione. Nelle aziende agricole finiva il prodotto inquinato da metalli pesanti come piombo, cromo, nichel, rame, zinco e anche diossina, utilizzato nelle lavorazioni di ortaggi e cereali.
Dalle intercettazioni telefoniche emerse poi un collegamento con le inchieste “Re Mida” e “Mosca” che i carabinieri del Noe stavano conducendo in Campania e così l’Arma offrì la sua collaborazione che portò all’operazione “Agricoltura biologica”, una delle più clamorose condotte all’inizio del secolo sul traffico illecito dei rifiuti in Italia, della quale parlò anche il pentito della camorra Carmine Schiavone davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta.
L’epilogo delle indagini portò all’arresto di sette persone e altre trenta indagate in seguito all’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore di Rieti, Mario Palazzi, che coinvolse anche il sindaco di un comune della provincia di Viterbo, risultato il biologo che con false analisi “ripuliva” i rifiuti pericolosi facendoli risultare conformi alla legge. «Ci aveva insospettito che ditte toscane avessero scelto il Reatino per smaltire i propri rifiuti - dichiararono il comandante provinciale della Forestale, Antonio Giusti, e il colonnello Antonio Menga, comandante del Reparto operativo Tutela Ambientale - poi abbiamo avuto la conferma che avevano scelto Magliano come luogo insospettabile. Nel concime alte concentrazioni di metalli pesanti, sostanze bioaccumulabili e bioassimilabili, cioè che vanno a finire nei meccanismi di assimilazione dell'uomo e degli animali». Tutte le perizie disposte dai magistrati confermarono la presenza dei veleni nel compost prodotto dalla Masan.
Una vicenda che confermò la giustezza delle battaglie condotte da ambientalisti e singoli cittadini contro l’ampliamento dello stabilimento che sorge in prossimità della fornace Buzzao e che oggi ospita attività artigianali. Le associazioni dei Verdi e di “La Sabina-Territorio e Ambiente” di Magliano, in particolare, sostennero sempre che l’impianto era pericoloso nonostante i responsabili della Masan avessero prodotto una serie di documenti per provare che la stessa era in possesso dei permessi regolari previsti dalla legge.
Lo scandalo in Commissione bicamerale
Lo scandalo della Masan innescò una serie di reazioni a livello nazionale con interrogazioni parlamentari che finirono per suscitare l’intervento della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti e davanti ai commissari sfilarono esponenti della Provincia di Rieti, del Comune di Magliano Sabina, tecnici dell’Arpa Lazio e della direzione regionale per la Protezione ambientale, che più di altri avevano intrattenuto rapporti con l’azienda toscana. Audizioni raccolte per ricostruire il rapporto che la Masan aveva avuto con il territorio e con alcuni suoi rappresentanti, ma non emersero responsabilità locali.
I processi
L’inchiesta sulla Masan si concluse a dicembre 2006, quando i pubblici ministeri Fabio Picuti e Rosalia Affinito chiesero al giudice delle indagini preliminari il rinvio a giudizio di 21 persone, imputate a vario titolo di traffico di rifiuti pericolosi e falso ideologico. Due di loro patteggiarono prima dell’apertura del processo, iniziato nel 2008 nella sezione distaccata del tribunale di Poggio Mirteto. Al termine, il giudice monocratico Andrea Fanelli condannò il 1 febbraio 2010 tredici imputati, infliggendo pene fino a 4 anni, di cui tre condonati grazie all’indulto, agli organizzatori del traffico di rifiuti, mentre condanne a due anni furono inflitte agli autotrasportatori. In Appello, il 6 novembre 2012, tutte le condanne furono dichiarate prescritte, mentre la Corte di Cassazione, il 5 novembre 2014, annullò, cancellando il solo reato di truffa, i risarcimenti civili per i danni ambientali assegnati a Provincia e Legambiente dai giudici nei primi due gradi di giudizio. Per la Suprema Corte, che accolse la tesi del sostituto procuratore generale Paolo Canevelli (già pretore a Rieti e Poggio Mirteto dal 1989 al 1991), “spetta solo allo Stato, e per esso al ministero dell’Ambiente, la legittimazione alla costituzione di parte civile nei procedimenti per reati ambientali per ottenere il risarcimento del danno di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico”.