Sindacalisti imputati di sequestro di persona, il processo infiammò la Texas

22/04/2021
Manifestazione negli anni 80
Manifestazione negli anni 80
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La primavera del 1981 coincise con una delle pagine più difficili per il movimento sindacale reatino, impegnato su più fronti in vertenze durissime per arginare le prime crisi industriali che coinvolgevano grandi società come la Snia, l’Intermotor, l’Icar, la Sbordoni di Stimigliano, la Merloni e altre ancora. Ma il processo celebrato in tribunale contro sette dipendenti della Texas Instruments, accusati di sequestro di persona e violenza privata, rischiò di segnare un punto di non ritorno nei rapporti tra sindacato e aziende, con la magistratura chiamata a indossare i panni di arbitro.

Un episodio senza precedenti, che suscitò una vasta eco anche a livello nazionale, originato dall’esposto presentato dalla direzione aziendale contro le azioni di picchettaggio effettuate nel 1979 all’esterno dello stabilimento di S. Rufina di Cittaducale, uno degli anni in cui si registrò una forte conflittualità tra la multinazionale e il personale, con le prime avvisaglie di cassa integrazione. Gli imputati erano cinque componenti del consiglio di fabbrica e, secondo l’accusa, avevano impedito, in due occasioni a tre dipendenti che non avevano aderito allo sciopero, di entrare in fabbrica per lavorare.

Le accuse

Oltre che per questi fatti, agli stessi operai e ad altri due, fu contestato dai giudici il reato di sequestro di persona “per aver privato della libertà personale, per un’ora” quei lavoratori ai quali sarebbe stato impedito di uscire dalla sala mensa dove era in corso un’assemblea legata alla vertenza in corso. Episodi diversi che ebbero come protagonisti gli stessi imputati, riuniti in un procedimento unico dal collegio del tribunale, presieduto da Franco Giampietro, con il giudice Enrico Pacifico e il vice pretore onorario Angelo Picchioni.

Come era facilmente prevedibile il successivo processo, tenuto il 12 maggio di quarant’anni fa in un’aula affollata di compagni di lavoro e sindacalisti, suscitò grande clamore nel mondo industriale perché gli scontri di quegli anni si stavano accentuando. Si trattava di individuare quale fosse stato il confine tra l’azione di “persuasione” attuata dagli imputati e il vero e proprio “impedimento” fisico opposto a chi non voleva invece scioperare. Per gli avvocati degli imputati (Franco Coccia, Antonio Serani e Vincenzo Martorana) il dibattimento si rivelò un banco di prova impegnativo per arrivare a dimostrare che "il picchettaggio era legittimo in quanto riconosciuto dall’ordinamento giuridico e i fatti ricadevano nell’ambito delle azioni sussidiarie del diritto di sciopero".

Il dibattimento

Per quanto riguardò l’accusa di sequestro di persona, essa venne a cadere poiché fu dimostrato che la sala mensa disponeva di diverse uscite, comprese quelle di sicurezza, nessuna delle quali era presidiata come non lo era neppure il passaggio dalla cucina che, immettendo nel magazzino, consentiva di raggiungere l’esterno. Una tesi che contribuì ad alleggerire la posizione dei sette sindacalisti interni, contro i quali la Texas alla fine rinunciò a costituirsi parte civile, ridimensionando la portata di un’accusa che non aveva precedenti nei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti.

Un gesto, quello della multinazionale, considerato da più parti come un tentativo di riconciliazione poiché la denuncia apparve sproporzionata rispetto alla portata dei fatti. I giudici accolsero parzialmente anche la richiesta generale di assoluzione sollecitata dal pubblico ministero, scagionando tutti dall’imputazione più pesante di sequestro di persona e condannando solo cinque di loro per violenza privata a pene (tutte sospese) varianti tra il mese e i venti giorni di reclusione, mentre gli altri due furono assolti da ogni imputazione.

La testimonianza

Uno degli imputati descrisse quei momenti : Il clima era molto pesante, rivedo i miei colleghi che affollavano il tribunale e la grande risonanza che la nostra storia suscitò a Rieti, anche se, a distanza di tanto tempo, devo ribadire che non era successo niente di particolarmente grave. Avevamo deciso di approfittare dell’ora di pausa per organizzare un’assemblea all’interno della sala mensa e ad essa volevamo che tutti partecipassero, proprio per confrontarci e discutere sulle iniziative da assumere in merito al rinnovo del contratto. Ma le tensioni resero quell’incontro incandescente, tanto che la direzione della Texas ci accusò di aver impedito ad alcuni dipendenti di raggiungere il posto di lavoro. Quando fummo citati in tribunale per sequestro di persona devo confessare che abbiamo avuto paura. Non era mai accaduto un fatto del genere e, soprattutto, con un epilogo così drammatico, perché non fu certo semplice subire un processo con l’accusa di aver sequestrato qualcuno. Fortunatamente, i giudici ridimensionarono l’intera vicenda grazie anche agli avvocati che riuscirono a dimostrare che da parte nostra c’era stata solo la volontà di coinvolgere tutti nel confronto, ma senza voler andare oltre.

Il commento del sindacato alla sentenza fu ugualmente molto duro. Riccardo Bianchi, segretario provinciale della Cgil, la definì «una condanna troppo severa, in contrasto con le evidenti ragioni che sostenevano la nostra tesi. I lavoratori dovevano essere tutti assolti con formula piena da ogni accusa”.