Sovraffollamento in carcere, nel Nuovo Complesso di Vazia presenti detenuti di 48 nazionalità

10/07/2024
Un momento del convegno
Un momento del convegno
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Il sovraffollamento non risparmia il carcere di Rieti. L’emergenza più grave che sta investendo gli istituti di pena italiani, unita a quella dei suicidi di detenuti che sono in aumento, all’interno del Nuovo Complesso di Vazia ha portato il numero dei reclusi a superare quota 500, rispetto a una capienza ufficiale stimata in 290 posti. La struttura, entrata in funzione nel 2009, considerata all’epoca una delle più moderne, con celle a due posti fornite di adeguati servizi igienici (ad esempio, la presenza del bidè che non c’era in quasi tutti i vecchi carceri) deve fare oggi i conti con il sovraffollamento caratterizzato da una maggioranza dei detenuti straniera, rappresentativa di 48 nazionalità, secondo i dati forniti dalla direttrice della casa circondariale Chiara Pellegrini. E in ogni stanza le unità  sono raddoppiate, determinando problemi di convivenza che si cerca di prevenire per ridurre al minimo le tensioni, ma non sempre è possibile: “Se un sabato pomeriggio, alle due, arrivano dodici detenuti, è chiaro che si può fare poco considerata la carenza di personale e gli spazi ridotti” ha detto la Pellegrini parlando al convegno sull’emergenza carcere organizzato dalla sezione di Rieti della Camera penale alla presenza del Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, che ha affrontato molti aspetti dell’emergenza, dalla carenza di personale per i servizi sanitari che in molti istituti regionali soffrono del numero insufficiente di operatori, spesso attratti di più dal privato.

A Rieti, dove un’inversione di tendenza si inizia a registrare (il direttore sanitario è sempre più presente, alcune attività interne funzionano, come l’uso del campo di calcio, e sono arrivati 34 nuovi agenti per rinforzare l’organico in affanno), l’emergenza deve fare però i conti con un aumento delle aggressioni agli agenti penitenziari e di risse tra i detenuti, che hanno portato a una crescita dei reati, secondo quanto riferito dal sostituto procuratore Edoardo Capizzi, magistrato da sempre attento alla realtà carceraria, il quale si è soffermato anche sulle misure alternative alla detenzione, indicate tra le soluzioni da perseguire per ridurre il sovraffollamento, problema nazionale che ha ispirato il decreto legge Nordio nel tentativo di umanizzare la vita carceraria, ma non è esente dalle critiche avanzate da coloro che ritengono non raggiunto l’obiettivo di migliorare la detenzione.

Indulto e amnistia

Attorno a questa emergenza sono intervenuti i relatori, coordinati dall’avvocato Marco Arcangeli, referente della Camera penale per i problemi carcerari, fermo nel sostenere che “serve un provvedimento di clemenza per ridurre il numero dei detenuti, come è avvenuto in passato con indulto e amnistia, e che invece oggi non è possibile proporre perché c’è un atteggiamento ostile da parte di molti ambienti”, mentre per il presidente del tribunale Pierfrancesco de Angelis, presente all’incontro con il presidente di sezione Carlo Sabatini e la Got Loredana Giannitti, “è un’emergenza che dura da anni, che non possiamo tollerare. Servono, allora, interventi dentro il carcere, perché altrimenti resta senza risposta la domanda sull’efficacia della funzione rieducativa che deve avere la pena”. “Necessità di andare oltre il decreto e individuare soluzioni concrete che mancano da troppi anni” ha chiosato l’avvocata Gioia Sambuco, presidente del direttivo dell’associazione. Decreto del governo che, per il presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati Attilio Ferri, “segna comunque un passo avanti positivo perché introduce misure per migliorare le condizioni dei detenuti”.

La testimonianza

Poi, in chiusura, la forte testimonianza arrivata da Romano Daniele, detenuto di 41 anni, assegnato a lavori di manutenzione all’interno della struttura, con il messaggio letto a nome di tutti i compagni: “Io rappresento la nostra voglia di vivere, il carcere ti cambia la vita e siamo consapevoli degli sbagli commessi, ma siamo esseri umani. Invece, ci sentiamo abbandonati e allora  ci chiediamo perché non vogliono ascoltarci. In carcere ci sono pochi psicologici, pochi educatori e le guardie sono costrette ad affrontare super turni di lavoro, che non è giusto, perché qui a Rieti gli agenti di custodia sono corretti e non ci hanno mai messo le mani addosso”.