Stesse intercettazioni in procedimenti diversi: non si può. Imputati assolti a Rieti grazie alla sentenza Cavallo

16/03/2022
Giudici in Cassazione
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Ha trovato la prima applicazione a Rieti, in un processo celebrato davanti al tribunale, la sentenza pronunciata nel 2020 dalle Sezioni Unite della Cassazione sul divieto di poter utilizzare in un procedimento penale le intercettazioni telefoniche ordinate per un procedimento diverso, quando tra gli stessi non sia accertata una connessione probatoria, salvo che le conversazioni risultino indispensabili per l’accertamento di reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

Ma non era quest’ultimo il caso del processo condotto nei confronti di due sanitari e tre infermieri dell’ospedale de Lellis, rinviati a giudizio per truffa e peculato, i cui colloqui telefonici erano stati captati dalla procura di Roma che stava intercettando uno di loro, coinvolto nella Capitale nell’indagine su un episodio di malasanità avvenuto in una clinica privata, rivelando l’esistenza di un accordo tra un medico indagato e altri quattro dipendenti ospedalieri reatini per prelevare farmaci e dispositivi medici in modo da consentire al primo di utilizzarlo in attività extramoenia all’insaputa dell’Asl Rieti e quindi non autorizzate. Ebbene, la parte delle intercettazioni relative a quanto avveniva all’interno de Lellis era stata stralciata dalla procura della repubblica di piazzale Clodio e trasmessa per competenza a quella di Rieti, dove tutti e cinque erano finiti sotto inchiesta e poi rinviati a giudizio.

L’eccezione

A piazza Bachelet tanto era bastato per chiudere il fascicolo, ma gli avvocati Giuseppe Perugino, Andrea Santarelli e Anna Maria Barbante, tre componenti del collegio difensivo, avevano eccepito sin dall’udienza preliminare l’illegittimità di impiegare le intercettazioni “romane” in quanto provenienti da un altro procedimento, dove i fatti oggetto di indagine erano diversi e non presentavano tra di essi alcun collegamento probatorio. Richiesta respinta dal giudice delle indagini preliminari con un’ordinanza confermata prima dal tribunale del Riesame e poi dalla Cassazione.

Nel corso del processo, però, era intervenuta la sentenza “Cavallo” delle Sezioni Unite della Cassazione sul caso di un imputato che, sottoposto a giudizio a Brescia, aveva eccepito attraverso il suo avvocato l’illegittimità di utilizzare nei suoi confronti le intercettazioni raccolte in un altro procedimento. La questione, spesso oggetto di decisioni diverse da parte della Corte Suprema, era finita all’esame delle Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sul fatto “se il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le intercettazioni siano state disposte, riguardi anche i reati non oggetto della intercettazione disposta all’origine e che, privi di collegamento strutturale, probatorio e finalistico con quelli invece già oggetto di essa, siano emersi dalle stesse operazioni di intercettazione”.

Ebbene, la successiva decisione degli ermellini di bocciare l’utilizzo tra procedimenti diversi nel caso non siano accertati collegamenti, ha consentito ai tre avvocati di rinnovare durante il processo di Rieti l’eccezione, ma questa volta con successo, e il suo accoglimento ha azzerato, di fatto, le tesi dell’accusa, che non aveva altre prove in mano per dimostrare la presunta colpevolezza degli imputati, quattro dei quali sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” e il quinto, il medico già sotto inchiesta a Roma, condannato per un episodio di truffa.  

Il precedente del 1994

Per rintracciare un significativo precedente, occorre riannodare i fili della cronaca giudiziaria al 1994, quando in tribunale fu celebrato il maxi processo a 65 imprenditori, impegnati nei lavori di manutenzione delle strade, di Rieti e provincia (e non solo), rinviati a giudizio per turbativa d’asta. Anche in quel caso, l’accusa mossa dalla procura circondariale si basò sulle intercettazioni telefoniche che, autorizzate dalla procura del tribunale, avevano consentito alla Guardia di finanza di accertare l’esistenza di tangenti legate all’assegnazione di appalti in Provincia. L’inchiesta, coordinata dal procuratore della repubblica Gaetano La Sala, si concluse con la definitiva condanna per concussione di un ingegnere e il patteggiamento delle pene per alcuni tecnici e imprenditori.

Dall’indagine sulla Provincia originò il filone che poi coinvolse i 65 imprenditori, registrati al telefono mentre si scambiavano informazioni sulle gare e su come organizzare le griglie di partecipazione. Le intercettazioni stralciate dal fascicolo originario furono considerate sufficienti dalla procura presso la Pretura per citare in giudizio i titolari delle imprese, ma dal processo, condotto dal pretore Renato Laviola, quelle conversazioni registrate furono escluse perché la Cassazione, alla quale si erano rivolti gli avvocati difensori, le aveva ritenute inutilizzabili in quanto disposte per un diverso procedimento. Senza altre prove, l’assoluzione finale fu la scontata conclusione.