Sette omicidi, vittime altrettante donne, che insanguinarono Milano tra il 1964 e il 1976, rimasti irrisolti, ma sui quali c’è ancora la voglia di indagare per cercare di dare un nome e un volto a quello che qualcuno è convinto si tratti di un unico killer, un mostro che potrebbe essere ancora vivo. Delitti tornati di attualità perché un criminologo, impiegando i sistemi più sofisticati, ha iniziato a analizzare ogni singolo caso insieme ad alcuni collaboratori utilizzando un software in dotazione anche alla polizia di New York, grazie al quale vengono elaborati un’infinità di dati, a partire dai luoghi e dagli orari dei crimini, fino a tracciare i profili di vittime e criminali, per risalire all’assassino, ipotesi sostenuta sulla base di convinzioni personali dall’attrice Agostina Belli, la cui madre fu uccisa nel 1970, e ora rilanciata dal Corriere della Sera.
L'inchiesta
Nel 1971, con le poche tecniche disponibili a quei tempi, ci provò anche Ugo Paolillo, l’ex pretore e procuratore di Rieti, a identificare il killer indagando insieme alla Squadra Mobile sul terzo dei sette delitti attribuiti ipoteticamente a una sola persona, quello di Simonetta Ferrero, una studentessa di 26 anni uccisa nei bagni dell’Università Cattolica. Un caso che fece scalpore, soprattutto per il luogo dove il delitto si era consumato il 24 luglio, in piena estate, e che occupò a lungo le cronache nazionali di giornali e televisione.
Paolillo, all’epoca sostituto procuratore, si trovò così ad affrontare il secondo caso più importante della sua esperienza milanese dopo la strage di piazza Fontana, quando per primo condusse le indagini sull’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura avvenuto a dicembre 1969. Tra quell’anno e il 1971, il magistrato condusse inchieste su altri casi giudiziari, tutti risolti, ma il delitto della Cattolica si rivelò estremamente difficile, come pure lo fu per tutti i magistrati chiamati, a turno, a indagare sugli altri omicidi commessi dal misterioso serial killer.
Pochi strumenti
Il ricordo di Paolillo è nitido, e non potrebbe essere diversamente vista la tragicità dell’avvenimento. “Quella mattina faceva caldo a Milano, il termometro segnava valori oltre i trenta gradi e la percentuale di umidità concorreva a rendere molto opprimente l’atmosfera. Verso le dieci ricevetti la telefonata della polizia in quanto ero il sostituto procuratore di turno, che mi informava del ritrovamento del cadavere di una giovane donna, in uno dei gabinetti femminili all’interno dell’Università Cattolica. La polizia aveva appreso la notizia da un seminarista che era entrato nel locale perché, a suo dire, aveva sentito scorrere incessantemente dell’acqua.
Il corpo di Simonetta presentava numerosissime ferite di arma da punta e da taglio con abbondante perdita di sangue, ormai rappreso. Le indagini vennero rese difficoltose per un complesso di ragioni, tra le quali la scoperta del cadavere dopo due giorni dall’evento e la indisponibilità di strumenti come la ricerca del Dna, molto utile e quasi sempre indispensabile per avere certezze sull’identità dell’assassino oltre ogni ragionevole dubbio. Mano a mano che si andava avanti con gli accertamenti, molte persone vennero escluse dalla rosa dei sospetti, altre vi rimasero, una in particolare, almeno dal mio punto di vista.
A questo proposito, ricordo che la Squadra mobile era orientata verso un estraneo all’Università, senza fissa dimora, che per esigenze fisiologiche era entrato in quel gabinetto. Io la pensavo diversamente. Ma ritenni di non ottenere una possibile ammissione di colpa senza il rispetto delle regole processuali a garanzia della libertà dei cittadini, quindi meglio un colpevole fuori che un innocente dentro. Purtroppo, nella storia recente, senza dover risalire al “caso Tortora”, si sono accusati innocenti, spesso, come se non bastasse, con il risultato di sviare le indagini dal reale autore del delitto”.
Nessun colpevole
L’inchiesta sull’omicidio di Simonetta Ferrero, ricordata come la più mediatica in assoluto, quando Ugo Paolillo ottenne il trasferimento al tribunale di Torino fu assegnata al successore, ma non si arrivò mai a individuare il colpevole. Un cold case, come quelli di Adele Margherita Dossena (la madre dell’attrice Agostina Belli), Elisa Casarotto, Valentina Masneri, Salvina Rota, Olimpia Drusin e Tiziana Moscadelli. Delitti irrisolti, sui quali adesso un criminologo prova a fare luce.