Mezzo secolo di attività, condotta interamente nel civile, perché l’aver conosciuto i particolari di un drammatico fatto di cronaca collegato a una strage familiare avvenuta a Rieti, gli fece ripudiare il penale, dove il padre Italo e il fratello Pietro sono stati invece indiscussi protagonisti di processi che hanno scritto la storia giudiziaria reatina. L’avvocato Giuliano Carotti così ricorda la sua scelta: “Ero all’inizio della professione ed ebbi l’occasione di leggere il rapporto della polizia su quegli omicidi. Rimasi profondamente colpito e fu in quel momento che compresi che mai avrei potuto difendere chi li aveva compiuti”.
Il professionista ha da poco superato il traguardo che gli consentirà di ricevere la toga d’oro, il riconoscimento attribuito dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, che torna dopo una pausa di tre anni (le ultime furono assegnate nel 2018 allo scomparso Luigi Colarieti, Angelo Picchioni e Augusto Principi, mentre nel 2020 è saltata quella a Maria Antonia Marcucci per una “distrazione” che ha impedito di bloccare la cancellazione dall’albo dell’avvocata, avvenuta due mesi prima di tagliare il traguardo dei 50 anni), e rivivrà, nel rispetto della normativa anti Covid, nella tradizionale cerimonia di fine anno organizzata nell’aula Caperna del tribunale.
Carotti è stato vice pretore reggente a Borbona, dal 1979 al 1983, per quella che definisce "un’esperienza appagante e formativa, con tanti episodi che mi legano a quel periodo e a molti colleghi avvocati. Uno, in particolare, l’ho vissuto insieme a Gianni Persio, con il quale stavo tornando in auto da Borbona a Rieti. Bucammo una gomma e il mio intervento fu davvero risolutivo – ricorda divertito - perchè aiutò a risolvere l’impasse: feci cadere la macchina dal crick con cui era stata sollevata da terra per effettuare il cambio della ruota. Lascio immaginare il resto, finì comunque in allegria dopo un primo momento di comprensibile sconforto”.
In verità, però, Giuliano Carotti aveva scelto un’altra strada: “Mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza per abbracciare la carriera di magistrato requirente, ma poi per gli impresentabili orizzonti della vita, ho finito per diventare avvocato, una scelta della quale non mi pento affatto e che certamente rifarei. Ho vissuto i tempi sereni della giustizia, nel dovuto rispetto, con i magistrati, altrettanto buoni con i colleghi, con i quali si combatteva a colpi di fioretto, ma sempre correttamente e nel reciproco rispetto. La mia vita professionale è stata gratificante anche se non ho vinto tutte le cause che mi sono state affidate, e oggi, che celebro le nozze d’oro con la toga, sono soddisfatto e giunto al termine della corsa, mi chiedo se ho recitato bene la mia parte”.
La figlia Paola ha ricevuto dal padre l’ideale testimone, insieme al fratello Bruno, primo consigliere giuridico della Corte Costituzionale, e ai cugini Italo, Nicoletta e Filippo forma la quarta generazione della storica dinastia di avvocati.