Tribunale soppresso, al Tar l'ironia degli avvocati su caffè e cornetti perduti

20/01/2021
Processo celebrato in via Mameli
Processo celebrato in via Mameli
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A gennaio di otto anni fa, con nove mesi di anticipo rispetto alla data stabilita, a Poggio Mirteto cessava di funzionare la sezione distaccata del tribunale, dichiarata soppressa dal decreto legislativo 155 del 2012, con cui il governo Monti ridisegnò la geografia giudiziaria in Italia tagliando i presidi giudiziari di secondo livello (le sezioni distaccate) e centinaia di uffici del Giudice di Pace, lasciando però alle amministrazioni comunali locali la possibilità di tenerli in vita a condizione che si fossero assunte le spese di gestione.

Avvenne così a Poggio Mirteto - Amatrice, Rocca Sinibalda e Cittaducale furono invece chiusi - dove un consorzio di comuni della Sabina, con in testa quello di Poggio Mirteto che sopporta l’esborso economico più consistente, permette dal 2013 alla sede di funzionare e di fornire una risposta alla domanda di giustizia proveniente dai paesi della zona, comprendente anche cinque centri della provincia romana.

Fine del sogno

Fu la fine di un sogno, nato nel 1999 con la riforma che soppresse le Preture e varò il Giudice Unico, la riforma di cui fu relatore in Commissione Giustizia della Camera l’avvocato-deputato Pietro Carotti, prevedendo l’istituzione di sezioni distaccate dei tribunali. Poggio Mirteto venne inserito nell’elenco dopo un’acceso dibattito che coinvolse tutta l’avvocatura locale e parte delle istituzioni, nettamente contrari a favorire un palazzo di giustizia doppione che avrebbe potuto mettere a rischio la sopravvivenza di Rieti. Alla fine, la soluzione trovata mise d’accordo tutti: no a un tribunale autonomo della Sabina, si a una sezione distaccata. Ma un’ampia fetta degli avvocati reatini non gradì mai la nascita del presidio mirtense, al punto che in occasione della soppressione, avvenuta dopo tredici anni, sfogò tutto il malessere covato da tempo intervenendo al Tar con un ricorso ad opponendum nel giudizio promosso contro il ministero della Giustizia dal Comune, impegnato a tentare, fino all’ultimo, di  bloccare la chiusura della sede.

L'atto ad opponendum

Un passaggio del documento sottoscritto da decine di avvocati reatini, colpì in modo particolare. Accanto a motivazioni squisitamente tecniche, i ricorrenti ironizzarono rispetto alla tesi sostenuta dall’avvocato del Comune, Alessandro Graziani, circa il pregiudizio che la soppressione della sezione avrebbe procurato all’indotto locale, affermando che “il macroscopico danno ammonta a qualche caffè, qualche cornetto ed un po’ di marche da bollo, il tutto per due giorni la settimana”.

Un giudizio apparso sarcastico, per definire una realtà che la politica non era stata in grado di potenziare, ingoiato dall’avvocatura sabina perché il Tar non sospese la decisione assunta dal governo, rigettando il ricorso, ma sintomatico di una sopportazione protrattasi, a lungo, nel tempo. Una guerra tra toghe, silenziosa, dove a uscire sconfitta fu, ancora una volta, l’intera provincia.