Otto anni fa, il 23 novembre 2012, stroncato da una crisi respiratoria moriva a 74 anni a Kebili, nel sud della Tunisia, Umberto Sebastiani, l’avvocato reatino autore di denunce sugli intrecci tra affari e politica che, negli anni 90, portarono la magistratura a istruire nei confronti di esponenti politici locali diversi processi per corruzione, terminati dopo molti anni con alcune condanne, molte assoluzioni (anche per insufficienza di prove) e prescrizioni.
Deluso nelle sue aspettative di giustizia da una città che, in più di un’occasione, gli aveva voltato le spalle dopo averlo esaltato, aveva scelto di vivere in quella piccola cittadina quando già le sue condizioni di salute da tempo non erano più buone, aggravate da un’infezione a una gamba causata da una frattura al femore curata male in un ospedale tunisino.
Dimenticato dai colleghi
“Ho impegnato tutto me stesso per denunciare clientelismi e corruzione, ma alla fine non è cambiato niente. Dopo tante battaglie, mi restano solo pochi, veri amici e, soprattutto, mia figlia Giada, per la quale un giorno tornerò” diceva al telefono da Kebili, dove è sepolto per sua volontà nel cimitero locale. E fu proprio Giada, nata dalla lunga unione tra il padre e la cantante lirica Mirella Caponetti, a condannare in una lettera, durante la cerimonia funebre per il padre tenuta a Rieti, “la derisione da parte di coloro che un giorno ti avevano riverito come avvocato e assessore, ottenendo da te aiuti disinteressati e generosità. Una città alla quale hai dato tanto, ricevendo però solo disprezzo”.
Parole dure, come pure non passò inosservata l’assenza di quegli avvocati che, proprio grazie alle denunce di Sebastiani, erano riusciti a guadagnare visibilità prendendo parte a processi dal forte impatto mediatico, latitanza accompagnata anche dal mancato saluto del Foro di Rieti al quale l’avvocato era iscritto, perché rendere omaggio a un collega scomodo per le sue iniziative giudiziarie, si sarebbe potuto rivelare “inopportuno” e, così, fu l’ipocrisia di molti a prevalere sui pochi avvocati presenti quel giorno, a titolo personale, nella chiesa di San Michele Arcangelo ad ascoltare le parole di don Benedetto Falcetti.
La politica
Carattere passionale e impetuoso, contrassegnato da grande generosità (casa sempre aperta per gli amici, un favore, se poteva, non lo negava a nessuno), spesso ospite della famiglia del cantante lirico Mario Del Monaco, nella vita aveva sognato di diventare baritono, visto che vantava notevoli capacità canore (fu il padre a spingerlo verso gli studi in giurisprudenza), dell’avvocato Sebastiani si ricordano anche gli accesi scontri politici. Una volta, nel 1993, durante un’accesa seduta del consiglio comunale, non riuscendo a frenare la sua veemenza apostrofò diversi colleghi definendoli “ladri, pagliacci e banditi tutti”, così fu querelato da Paolo Tigli, Antonio Cicchetti, Adalberto Festuccia, Riccardo Bianchi, Massimiliano Formichetti, Edmondo Cardi e Mario Barbante, ma il pretore Renato Laviola lo assolse: il suo sfogo fu considerato solo una critica politica, pur aspra, senza attribuzione ad alcuno di fatti determinati.
Una vicenda che segnò anche l’inizio del suo addio alla politica e e la macchina del fango si mise subito in moto, gettando discredito sulla credibilità delle sue denunce, peraltro confermate nella loro fondatezza dalle sentenze emesse dai vari tribunali. Sebastiani reagì con (inaspettata) calma: “Non voglio più saperne, dalla direzione del Psdi mi è stato chiesto di continuare per ridare linfa al partito, ma i reatini è come se mi avessero detto che non ho fatto niente, preferendo premiare vecchie logiche spartitorie”.
L’esilio a Bonn
L’amarezza più grande la visse quando, assessore comunale uscente al Personale, raccolse alle elezioni del 1994 solo 90 voti, pur avendo fatto approvare la nuova pianta organica del Comune che prevedeva 109 nuovi posti di lavoro. Fu la riprova di un’attività svolta senza ricercare il clientelismo. Neppure rieletto consigliere (“Mi hanno votato solo gli onesti, ma sono minoranza rispetto ai corrotti”), Sebastiani decise di lasciare Rieti per seguire la Caponetti, scritturata per un anno dall’Oper der Stadt di Bonn, chiamata a interpretare la Carmen. In Germania fu colpito da infarto e i medici lo salvarono in extremis operandolo nella clinica universitaria dell’ex capitale tedesca. Al suo rientro, niente era ormai come prima, molti di quelli che prima avevano plaudito alle sue battaglie moralizzatrici, l’avevano abbandonato.
Lo scandalo degli Enti Lirici
Tradimento già conosciuto negli anni 70 quando a Roma denunciò i ricatti sessuali ai quali erano sottoposte molte cantanti, costrette a passare per i letti di impresari e politici pur di guadagnare qualche contratto, fece esplodere a Roma lo scandalo degli enti lirici. Decine di arresti e indagati, un’inchiesta che sfiorò politici nazionali e importanti personaggi della lirica, ma che riservò a Sebastiani la prima, cocente, delusione. Nominato legale di fiducia dalle artiste, alla vigilia del processo si ritrovò da solo perché le vittime ritirarono la costituzione di parte civile. Si seppe, poi, che avevano ottenuto scritture e contratti in cambio della loro rinuncia e l’avvocato fu costretto ad abbandonare il caso.
A ferirlo fu la certezza di essere stato usato e strumentalizzato, come nelle vicende che lo videro protagonista negli anni della Tangentopoli reatina. Commentava con rammarico: “Sono stato accusato di aver presentato denunce per risolvere questioni familiari ed è stata dura ingoiare le maldicenze, ma a distanza di anni ho potuto dimostrare che il coinvolgimento di certe persone fu del tutto casuale e questo mi conforta, specie davanti ai miei figli Giada, Cristiano e Federico. Tutto ciò mi ha procurato l’inimicizia della gente, che recepisci anche dagli sguardi, ma ancora oggi rivendico di aver fatto solo il mio dovere denunciando illegalità e corruzione. Ho sperato, così, di lanciare un messaggio di cambiamento, ma è stata solo un’illusione. A Rieti e ai reatini, evidentemente, fa più comodo vivere con certi personaggi che dominano la vita politica e gestiscono logiche spartitorie. Siamo la società del gattopardo, dove tutta muta per non cambiare niente”
L’epilogo
L’ultima parentesi della sua vita è di quelle da dimenticare. Umberto Sebastiani non era più lui, neppure l’affetto di chi continuava a stargli vicino bastò a risollevarlo. Aveva scelto di vivere a Kebili dopo una breve parentesi trascorsa nel 2008 al Terminillo, ospite nell’albergo del suo amico di una vita Mauro Gennaro, cercando in Tunisia nuovi stimoli per superare le delusioni del passato. “So soltanto che qui sto bene, tra persone che me ne vogliono. E tanto mi basta” rispondeva a chi lo chiamava dall’Italia.
Aveva anche riscoperto la passione per il canto e all’isola di Gerba, dove si trovava, una sera l’avevano chiamato sul palco per sostituire il cantante che aveva dato forfait. Fu un successo, come riferì il pianista italiano che l’accompagnò nell’esecuzione di canzoni napoletane. Un ultimo lampo di vita, prima della crisi fatale. Quello di Umberto Sebastiani è stato un lungo congedo dalla vita e da un sogno, a lungo coltivato, di vivere in una società più giusta, dove il merito prevale sul clientelismo e l’onesto sul corrotto. Soltanto un sogno, appunto.