Mesi di battaglia legale, tra il Comune di Amatrice e un giovane centralinista non vedente, riemergono dalle cronache impolverate a trent’anni di distanza, e raccontano di una vicenda grottesca, con pochi precedenti, che si concluse solo nel marzo 1991. La giunta comunale non voleva che il dipendente entrasse nella stanza insieme al cane che lo accompagnava e lo aiutava negli spostamenti quotidiani. Per questo, fu firmata dal sindaco un’ordinanza che indicava i criteri da rispettare: l’animale, per tutto l’orario di lavoro, sarebbe dovuto rimanere all’interno di un igloo, appositamente realizzato, distante cinque metri dalla stanza del padrone, e se questa disposizione non fosse stata rispettata si sarebbe proceduto come per legge. Vale a dire, licenziando il non vedente.
Il dattilografo allergico
Un divieto, attuato oltretutto nei confronti di una persona priva della vista, apparentemente immotivato, ma la verità non tardò a emergere. A dichiarare guerra al non vedente era stato un altro impiegato, con mansioni di dattilografo, contrario a lavorare in un ufficio dove c’era un cane perché, sosteneva, allergico ai cattivi odori emanati dall’animale, e per questo si era messo in ferie. A completare il quadro, era arrivata pure la donna addetta alle pulizie, la quale, pur essendo parente del centralinista, per protesta aveva sospeso il servizio.
Prefetto in campo
La storia, inizialmente ristretta in ambito paesano, ben presto diventò pubblica conquistando le cronache giornalistiche e, via via, furono coinvolti il prefetto dell’epoca, Antonio Izzo, insediatosi da pochi mesi, l’Unione ciechi che lanciò una raccolta di firme, i sindacati pronti a organizzare manifestazioni di protesta, e pure i dipendenti del Comune di Amatrice che minacciarono di occupare il palazzo municipale. Un clima infuocato, in cui non mancarono le polemiche politiche tra la giunta guidata da Antonio Serva, firmatario dell’ordinanza, e il sindaco che l’aveva preceduto, Luigi Bucci, che il problema aveva cercato di risolverlo con buona pace di tutti.
La questione assunse inevitabilmente anche un aspetto giudiziario, fu presentata una querela penale per interruzione di pubblico servizio visto che il non vedente, in più di un’occasione, non aveva potuto svolgere il suo lavoro in quanto costretto a restare fuori dall’ufficio, e l’Unione ciechi si rivolse al Tar del Lazio contro l’ordinanza firmata dal primo cittadino. A febbraio 1991 i giudici amministrativi accolsero il ricorso dell’avvocata reatina Laura Pitoni e sospesero il provvedimento che vietava l’ingresso al cane, ma durò poco, perché dopo alcuni giorni il sindaco firmò un nuovo ordine di servizio in cui, richiamando “la necessità di tutelare e salvaguardare la salute dei dipendenti durante lo svolgimento del lavoro”, ribadì il divieto di ingresso del cane guida.
Insomma, sembrava che neppure i giudici fossero in grado di mettere fine alla grottesca vicenda, e quando l’avvocata Pitoni annunciò di voler chiedere al Tar la nomina di un commissario ad acta, la situazione si sbloccò. All’incolpevole animale fu trovata sistemazione in una cuccia all’interno del cortile, vicino al posto di lavoro del non vedente, e l’approdo in tribunale fu scongiurato.