Gli avvocati pagano per uscire dalla Sabina Universitas, cronaca di un fallimento annunciato

22/09/2023
Un convegno di avvocati
Un convegno di avvocati
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Un finale ampiamente annunciato e atteso da otto anni, a partire dal 2015 quando l’assemblea degli iscritti votò, a maggioranza, per l’uscita dal Consorzio Sabina Universitas: non si erano realizzate le condizioni che avevano portato il Consiglio dell’ordine degli avvocati a farne parte come socio. Mai istituiti i corsi triennali di Scienze giuridiche e neppure quelli di preparazione per conseguire la laurea in Giurisprudenza presso un ateneo di riferimento, nessun’altra soluzione è stata mai trovata per giustificare la presenza delle toghe nella compagine universitaria, fino alla decisione di abbandonare.

L’ultimo atto di una collaborazione mai nata e di un fallimento annunciato, si è consumato in uno studio notarile di Roma dove il presidente del Consiglio dell’Ordine, Attilio Ferri, e  quello del Consorzio, Antonio D’Onofrio, hanno formalizzato la cessione della quota detenuta dagli avvocati che, in questo modo, escono definitivamente dal Polo. E’ il risultato della transazione arrivata dopo la causa promossa dall’Ordine davanti al tribunale delle Imprese nei confronti del Consorzio che non prendeva atto della volontà assembleare espressa dalle toghe di non fare più parte della Sabina Universitas. Nessun altro socio aveva accettato di accollarsi la quota degli avvocati, come anche ogni tentativo bonario, avviato da parte del direttivo forense per arrivare a un accordo, non aveva avuto successo.

L’accordo

Uno stallo protrattosi dal 2015 e sbloccato solo dopo che al vertice del Consorzio è arrivato Antonio D’Onofrio e, con lui, anche la disponibilità a trattare con il presidente dell’Ordine forense Attilio Ferri. Esclusa definitivamente la possibilità di rientrare dalla finestra istituendo corsi in materia giuridica, è stata decisa la via della transazione per chiudere il contenzioso e archiviare il procedimento, raccogliendo in questo senso anche l’invito a conciliare rivolto alle parti dalla giudice Enrica Ciocca (ex toga reatina) altrimenti costretta a istruire una causa dalla durata e dagli esiti incerti. L’accordo firmato davanti al notaio prevede il pagamento da parte dell’Ordine al Consorzio di 50 mila euro (in due rate), a fronte di un debito maturato di 85 mila euro. L’atto extragiudiziale che ufficializza la fine del contenzioso sarà depositato dai rispettivi avvocati delle parti, Francesco Casale e Paolo Tamietti, al tribunale delle Imprese che dichiarerà cessata la materia del contendere.

Occasioni perdute

Un  finale senza gloria, che inevitabilmente rimanda a una domanda: c’è mai stata davvero la volontà, soprattutto politica, di rendere concreta la presenza nel Polo universitario degli avvocati attraverso l’istituzione di corsi giuridici? Nei primi anni 2000 ci furono due tentativi, il primo portato avanti con il preside della Facoltà di Giurisprudenza de La Sapienza di Roma, professor Angelici, disponibile a fondare a Rieti una scuola di formazione post universitaria, progetto abortito prima ancora di essere attuato. Il secondo, più concreto, con l’università Roma Tre e con il piano sposato dall’ex sottosegretario alla Giustizia del governo Monti, Salvatore Mazzamuto, che convinse il rettore ad avviare un corso triennale in Giurisprudenza, con il biennio finale a Roma, firmando un accordo con l’università sabina. Il senato accademico adottò anche la delibera di convenzione, ma la Fondazione Varrone di quel tempo, dopo una prima disponibilità, si tirò indietro e non diede più forza al sostegno che avrebbe dovuto garantire insieme alla Provincia.