I 90 anni di Enrico Dell'Uomo D'Arme, vice pretore nella stagione più difficile del tribunale

08/11/2023
Dell'Uomo D'Arme, a sin., insieme a colleghi e giudici
Dell'Uomo D'Arme, a sin., insieme a colleghi e giudici
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La toga l’ha smessa da anni, da quando ha concluso la sua attività con l’ultimo incarico che l’aveva portato al tribunale de L’Aquila come giudice onorario, assegnato alla sezione stralcio con il compito di smaltire l’arretrato, incarico ricoperto fino ai primi anni 2000. Festeggia il traguardo dei 90 anni l’avvocato Enrico Dell’Uomo D’Arme, approdato alla professione dopo la pratica svolta nel 1962 nello studio legale di Mariano Trinchi,  protagonista di una diversa stagione della giustizia reatina, quella che doveva continuamente fare i conti negli anni 70 con un tribunale in grande difficoltà per il numero insufficiente di magistrati in servizio (due togati oltre al presidente Iraso e a un pubblico ministero che cambiava ogni tre mesi), che faticavano a mandare avanti l’attività in una situazione di perenne emergenza.

I processi

Così, toccò a Dell’Uomo D’Arme e al collega Vincenzo Martorana, vice pretori onorari nella Pretura diretta prima da Velardi e poi da Marcello Chiattelli, futuro presidente del tribunale di Rieti, far parte per quindici anni, dal 1970 al 1985, del collegio giudicante che doveva celebrare i processi penali, prassi continuata in seguito con l’impiego di altri avvocati-giudici onorari fino a quando il ministero non si decise a rinforzare l’organico. Ricorda Martorana: “Eravamo considerati indispensabili per coprire i posti vuoti, altrimenti i processi non si sarebbero potuti fare, ma questo ci ha consentito di vivere un’esperienza importante che ci ha aiutato a formarci nella professione”. Un ruolo di non poco conto, che Enrico Dell’Uomo D’Arme “ha saputo ben svolgere dimostrando di essere professionalmente preparato e molto scrupoloso” afferma Antonio Belloni, già presidente del Consiglio dell’ordine, che del veterano è stato compagno di scuola al liceo Classico in un classe che comprendeva anche lo scomparso presidente del Senato Franco Marini.

Impegnato soprattutto nel civile, all’avvocato Dell’Uomo D’Arme è capitato anche di sostenere la pubblica accusa nei processi in Pretura, come nel caso, mai chiarito fino in fondo dalle tante inchieste condotte sul sequestro del presidente della Dc Aldo Moro, che vide processati e condannati nel 1978 due casellanti sabini, moglie e marito, arrestati per reticenza: avevano affermato, e poi negato, di aver visto la notte successiva all’attentato di via Fani alcuni uomini in divisa attraversare il passaggio a livello della ferrovia Roma-Firenze tra Montopoli e Passo Corese (lontano pochi chilometri in linea d’aria dal luogo dove era nato l’ideologo delle Br Renato Curcio) trasportando un sacco contenente presumibilmente il corpo di una persona. Il pm onorario Dell’Uomo D’Arme, di fronte ai dubbi, sollecitò l’assoluzione per insufficienza di prove degli imputati, ma per il pretore Velardi moglie e marito avevano ritrattato per paura, e li condannò a sei mesi di reclusione, ordinandone al tempo stesso la scarcerazione. Un processo che suscitò ampio clamore per il presunto collegamento con il rapimento Moro, vicenda poi rimasta tra gli interrogativi senza risposta.