La parcella all'avvocato per la causa vinta? Pagata con i quadri della chiesa, amnistia per il vescovo

04/07/2023
La chiesa di Collevecchio
La chiesa di Collevecchio
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Il vescovo, l’avvocato e l’antiquario, tre personaggi protagonisti di una storia che sembra uscita dalle pagine di un racconto a tinte gialle, che all’inizio degli anni 90 li fece finire sotto processo dopo il presunto furto di due quadri custoditi all’interno della chiesa di Sant’Andrea Apostolo, a Collevecchio, realizzati dal pittore fiammingo Francesco da Castello (autore vissuto nel quindicesimo secolo) per un valore stimato all’epoca vicino al mezzo miliardo di lire. Opere che, si scoprì successivamente, non erano state rubate, ma avevano rappresentato il pagamento della parcella all’avvocato che aveva assistito la Diocesi della bassa Sabina contro l’amministrazione comunale che si contendevano la proprietà dell’edificio religioso. Conclusa la causa con la vittoria della Diocesi, si pose il problema di saldare la prestazione fornita dall’avvocato, un conosciuto professionista di Velletri, e non sapendo come fare visti i pochi soldi in cassa, il prelato pensò bene di saldare il legale con due dipinti a olio custoditi all’interno di Sant’Andrea Apostolo. Ma non avrebbe potuto farlo perché le opere d’arte di proprietà della chiesa non sono alienabili e, per questo, dopo una denuncia presentata ai carabinieri sulla scomparsa dei quadri, saltò fuori la verità e il vescovo finì davanti al vice pretore onorario di Poggio Mirteto, Luigi Colarieti, imputato di aver violato la legge sui beni artistici, cavandosela alla fine con l’amnistia.

Il ministero parte civile

Diversa, invece, la sorte per l’avvocato e l’antiquario, titolare di gallerie a Viterbo e Latina, accusati di ricettazione in quanto il primo, non sapendo cosa farsene dei dipinti del pittore fiammingo, li aveva venduti al secondo al prezzo di dieci milioni (ma per restaurarli fu necessario spenderne altri 70), ignorando completamente il loro valore reale. Posizioni che il vice pretore Colarieti stralciò dal processo principale in cui si era costituita parte civile l’Avvocatura dello Stato, trasferendo gli atti alla Procura presso la pretura del tribunale di Velletri, risultata competente per territorio in quanto in quella città era avvenuta la vendita tra l’antiquario e il legale della Diocesi. I quadri, recuperati una prima volta dai carabinieri, furono sequestrati per ordine del magistrato, ma poi l’antiquario ne ottenne  la restituzione da parte del giudice delle indagini preliminari in quanto dimostrò anche sulla base di quanto emerso nel processo di Poggio Mirteto dove il vescovo era stato amnistiato, che non erano di provenienza furtiva bensì frutto di un regolare acquisto.

Furti in chiesa

Vicenda che riservò ancora delle sorprese due anni più tardi, quando i militari del Nucleo di Tutela del Patrimonio li rinvennero una seconda volta a Roma, prima che finissero al Museo Reale di Bruxelles nonostante il veto alla vendita da parte del Ministero, tenuti in custodia da un’organizzazione clandestina coinvolta in una vasta operazione contro il traffico di opere d’arte. Quell’inchiesta svelò anche un altro aspetto inquietante del caso Collevecchio: dal rapporto del soprintendente regionale Aila Englen venne fuori che la chiesa sabina aveva subito nel corso degli anni un vero e proprio saccheggio subendo la sottrazione di altri dipinti, candelabri e oggetti preziosi, tutto materiale venduto a nero e finito in gran parte nel giro degli antiquari e in case private, dove non fu possibile recuperarli.