Agosto 1986, il taglio di una faggeta in una delle aree di maggiore pregio naturalistico sui Monti della Laga, era già iniziato, quando a bloccare le ruspe e a sventare una devastazione ambientale con l’abbattimento di migliaia di piante, arrivò il sequestro preventivo dell’area di 65 ettari destinata a essere disboscata, ordinato dalla Pretura di Amatrice alla quale si era rivolto il Wwf per denunciare lo scempio. Provvedimento confermato successivamente dal tribunale del Riesame al quale avevano presentato ricorso il proprietario della faggetta e i titolari delle ditte coinvolte.
Un intervento provvidenziale, perchè l’inchiesta condotta dal vice pretore onorario Renato Vannicelli confermò che quello che si stava consumando lungo il versante amatriciano della catena montuosa, era un intervento abusivo che aveva trasformando una mulattiera di montagna in una strada larga sei metri per consentire il passaggio dei mezzi pesanti e dei cingolati per trasportare a valle i tronchi degli alberi. La concessione amministrativa originaria, rilasciata dal Comune, riguardava infatti “il miglioramento della transitabilità della stradina sterrata larga 2 metri e 50”, ma senza prevedere ampliamenti. Le due imprese di Frosinone e Ascoli Piceno, incaricate di eseguire il taglio per conto di una società sabina, proprietaria del terreno, invece non si fermarono solo ai 250 faggi “martellati” dalla Forestale e proseguirono, arrivando a tagliarne altre centinaia.
La denuncia
A bloccarle, ci pensarono però le associazioni ambientaliste, denunciando quanto stava accadendo a Pannicaro, località ricadente nella frazione di Illica di Accumoli, sotto il Pizzo di Sevo, e l’inchiesta che seguì fece emergere come lo scopo finale dell’operazione fosse quello di realizzare delle piste da sci in una zona sottoposta a vincolo, a 1600 metri di altezza, progetto al centro di accese polemiche anche politiche legate alla dibattuta realizzazione di una stazione turistica al centro di tre regioni, Lazio, Marche e Abruzzo. Sul tavolo del vice pretore Vannicelli, dopo il rapporto dei carabinieri della stazione di Accumoli incaricati di condurre le indagini, finirono le relazioni dell’assessore agli Usi Civici del Lazio Pietro Federico, intervenuto a tutela della popolazione di Illica, del Parco Nazionale d’Abruzzo e del Cai, tutti concordi nell’evidenziare i pericoli derivanti per l’equilibrio naturale dall’abbattimento di migliaia di faggi. Furono nominati degli esperti per valutare i danni provocati dalle ruspe, mentre un perito fu incaricato di eseguire la consulenza tecnica allegata agli atti del processo celebrato nei confronti dei titolari delle tre società, citati a giudizio per danneggiamento e deturpamento delle bellezze ambientali.
La sentenza
Il dibattimento si concluse dopo nove mesi con la condanna degli imputati a sei mesi di reclusione e al pagamento complessivo di 21 milioni di ammenda, nonché al risarcimento dei danni a favore del Comune di Accumoli e di alcuni privati, proprietari di terreni danneggiati dai lavori, costituiti parte civile insieme alle associazioni Wwf, Lega Ambiente per il Lazio e Italia Nostra. La sentenza di primo grado ebbe notevole risonanza anche a livello nazionale, non avendo riguardato le sole violazioni penali, ma anche i diritti delle popolazioni a essere tutelate contro speculazioni condotte in danno dell’ambiente in cui vivono.