L’anno che si chiude sarà ricordato come uno dei più tribolati per la giustizia, già in emergenza costante per la cronica lentezza dei processi, per le riforme che spesso finiscono solo per complicare ancora di più le norme in vigore, e per un’assenza di chiarezza sul futuro. In questi mesi scanditi da chiusure e ripartenze dei tribunali, attuate per prevenire i rischi di contagio da coronavirus, con regole cambiate in corso che stanno logorando avvocati e magistrati, non sono mancate le polemiche e le ferme prese di posizione da parte di molti organismi del mondo giudiziario per il tentativo di stravolgere i cardini fondamentali del processo penale, introducendo procedure da remoto che hanno fatto insorgere l’Unione delle Camere penali, apertamente contraria a qualsiasi modifica che violi la Costituzione.
Le critiche
Le critiche sono piovute da più parti, senza colorazione politica, sia da parte di avvocati, che di giudici e giuristi. Un magistrato che a Rieti è stato consigliere pretore e poi procuratore della repubblica, Ugo Paolillo, ha definito il processo penale da remoto “un salto nel buio”, affermazione ampiamente condivisa nel mondo della giustizia, come anche lo è stata la reazione della sezione di Rieti della Camera penale, guidata dall’avvocata Morena Fabi, ferma nel condannare ogni tentativo di stravolgimento delle regole.
Il dibattito si arricchisce ora dell’opinione di Pietro Carotti, già deputato dell’Ulivo nella stagione targata Prodi, penalista reatino di grande esperienza e protagonista di molti processi nei tribunali di tutta Italia, “padre” come relatore in Commissione Giustizia della Camera della legge di riforma che nel 1999 introdusse il Giudice Unico. Il suo è un giudizio formulato sulla base della lunga esperienza maturata come politico e avvocato, e contiene una forte critica al progetto del ministero della Giustizia.
L’opinione
Quali sono i punti deboli dei cambiamenti che il Guardasigilli Alfonso Bonafede vuole introdurre?
“Il tentativo maldestro del ministro Bonafede di normalizzare il processo penale da remoto rendendolo sostanzialmente un rito ordinario, non è condivisibile e nasconde l’obiettivo di assimilare il processo penale a quello civile. E’ principio fondamentale del nostro ordinamento penale e processuale penale che il dibattimento debba essere orale e pubblico. La ratio risiede nella necessità di controllo da parte della pubblica opinione e dalla assoluta opportunità di verificare dal vivo le condotte dei protagonisti; il principio del libero convincimento del giudice presuppone una percezione diretta ed immediata della dinamica dibattimentale che è impossibile trasmettere le via cavo. Un gesto, un dubbio, una mimesi, non è percepibile se non con la presenza fisica del dichiarante; l’incoraggiamento implicito al ricorso alle memorie difensive, oltre a svilire l’attività difensiva, finisce per rendere pigra e formale la ritualità del processo”.
Quali ricadute sta provocando questo piano?
“In buona sostanza, il disegno politico giudiziario denuncia la cultura processual civilista del Ministero di Giustizia, come peraltro emerge dalla recente legislatura importata a volte a una cultura poliziesca (intercettazioni, prescrizione) che mortifica l’attività di tutti gli operatori della giustizia. Gli effetti emergenziali normativi ricaduti inevitabilmente anche sul Tribunale di Rieti sono stati assorbiti da questo in modo accettabile, tanto da non comportare una eco nella disciplina delle udienze che hanno seguito un iter tutto sommato positivo”.
Come intravede il futuro alla luce di queste novità e dell’emergenza ancora presente?
“Ritengo la ripresa un evento ancora futuro e incerto. Se avranno futuro legislativo è difficile dirlo, certo è da scongiurare in maniera categorica e spero che gli organismi rappresentativi dell'avvocatura facciano sentire fortissima la loro voce”.