Il tribunale di Rieti, nel maggio 1987, fu sede di un processo che originò la prima sentenza di condanna emessa a livello europeo nei confronti di un volovelista per omicidio colposo, reato contestato per la prima volta nei confronti di un volovelista dopo la morte di un altro pilota, Paolo Agresta, avvocato di Milano, avvenuta il 13 agosto 1982, precipitato sul monte Nuria, nel Reatino, durante lo svolgimento dei campionati italiani. Un caso senza precedenti, discusso da giuristi e tecnici, del quale sono rimaste tracce negli atti del convegno giuridico “Il volo a vela nel diritto della navigazione”, organizzato a Cittaducale nel 1985 dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Rieti, in occasione dei primi Campionati del mondo di specialità disputatisi all’aeroporto Ciuffelli, e nei diversi articoli pubblicati dalle riviste specializzate, su tutte Air Press che seguì a lungo la vicenda. Va precisato che la condanna a dodici mesi pronunciata dal tribunale nei confronti dell’imputato, un ingegnere di Bergamo, fu poi riformata dalla Corte di Appello che assolse il volovelista, ma il caso offrì ugualmente al ministero dei Trasporti lo spunto per raccomandare l’impiego di alcune strumentazioni sugli alianti, non ancora pienamente utilizzate all’epoca, come il “crash locator”, un’apparecchiatura in grado di emanare al momento dell’impatto del velivolo un segnale di Sos per orientare i soccorsi.
Il caso
La questione giuridica si giocò tutta attorno all’equiparazione della figura del volovelista a quella del comandante di aeromobile e pertanto ritenuto soggetto al rispetto delle norme che regolano il comportamento di un pilota in aria e in mare. La condanna, infatti, si basò sul fatto che il volovelista aveva violato l'articolo 1158 del Codice di navigazione aerea, riferito ai casi di omissione di assistenza a navi o persone in pericolo. Una decisione che suscitò una vasta eco a livello nazionale in quanto era la prima volta che tale norma veniva applicata al pilota di un velivolo senza motore. L’ingegnere tenne nell'occasione un comportamento ritenuto “omissivo” dai giudici. Nel momento in cui stava sorvolando il monte Nuria, nella zona di Petrella Salto, il volovelista vide Agresta avvitarsi e precipitare nella fitta boscaglia che lo inghiottì, tanto da rendere impossibile individuare dall'alto il punto dell'incidente.
Diede subito l’allarme alla torre di controllo, ma poi continuò nella gara mentre i soccorsi aerei, giunti sul posto, volteggiarono a lungo sulla zona, senza riuscire a individuare il Nimbus-2 non disponendo delle giuste coordinate. Il pilota fu ritrovato soltanto il giorno dopo, a circa 50 metri dall’aliante, a poca distanza dalla fine del bosco dove era riuscito a trascinarsi dopo essersi liberato del paracadute, a iniettarsi un farmaco analgesico, a ingerire diversi farmaci e ad avvolgersi in una coperta. Ancora un po’ e avrebbe potuto raggiungere una radura aperta, diventando a quel punto ben visibile ai soccorritori che si trovavano a bordo degli aerei. Secondo gli esiti dell’autopsia e delle analisi allegati agli atti dell’inchiesta, l’avvocato sopravvisse undici-sedici ore.
Il giudizio raggiunto dalla Commissione d’inchiesta nominata dal ministero dei Trasporti, fu severo: “La distorta mentalità di taluni partecipanti alla gara ha reso più problematici i soccorsi. A tale riguardo appare poco opportuno che sia stata fatta proseguire la gara in corso, disperdendo gli interventi e, soprattutto, consentendo così che i singoli partecipanti continuassero a operare su proprie lunghezze d’onda private, non seguendo le azioni di soccorso già intraprese e quindi non intervenendo per comunicare i dati in proprio possesso. E’ quindi opinione finale della Commissione che il decesso del pilota sia ascrivibile principalmente al ritardo dei soccorsi più che alle effettive conseguenze dell’incidente”.
La difesa
L'ingegnere, al processo, si difese sostenendo di non aver avuto cognizione precisa di quanto stava accadendo, specificando di aver continuato a volteggiare per un quarto d’ora sopra il monte Nuria e di essersi poi allontanato in quanto le condizioni meteorologiche non consentivano la permanenza e perché il suo aliante aveva perso quota. Ma i giudici la pensarono diversamente: l’imputato avrebbe dovuto continuare a volteggiare nella zona, interrompendo la prova, per attendere l'arrivo degli aerei di soccorso dopo l'allarme e indicare ai soccorritori il punto esatto dello schianto in modo da consentire alle squadre di terra di raggiungere Agresta il più rapidamente possibile.
L'assoluzione
Il 10 aprile 1990, il volovelista fu assolto (il fatto non sussiste), dalla prima sezione della Corte d’Appello. Nella motivazione i giudici di secondo grado spiegarono: “L’articolo 1158 del codice di navigazione aerea non può trovare applicazione nel campo degli alianti che sono aerei senza motore, ossia sono privi del comando e quindi del comandante. Invero, l’aliante, sfruttando la sua leggerezza, può innalzarsi utilizzando le correnti aeree ascendenti, siano esse di origine dinamica oppure termica, può spostarsi sfruttando la trazione rappresentata dalla componente della gravità diretta nel senso del moto e derivante dalla sua inclinazione orizzontale, e può discendere con inclinazione a volo libero. Si tratta quindi di un velivolo semplificato, senza motore, che nulla ha a che vedere con l’aereo, perciò non è a quest’ultimo assimilabile, né, a maggior ragione, il suo pilota può paragonarsi a un comandante”.